Riprendiamo il discorso, iniziato un semestre fa, riguardante Artavazd Pelešjan, il regista armeno classe 1938, teorico del montaggio a distanza, che i due Santi Simone e Pietro ci presentarono. Due opere mute, "corto" e "documentario", a distanza di dodici anni, indicano la precipitosa corsa (fuga!) con cui gli "Abitanti" ("Obitateli", 1970) del nostro delicato e spaventato pianeta hanno caratterizzato "Il nostro secolo" ("Mer dare", 1982) Ventesimo.
"The people" nel corto di 8 minuti di immagini di fauna varia, selvaggia, accostata, anzi, distanziata, dal temibile montaggio di rottura (che poi è affermazione di negazione, come dire: "non è così"). La forza vitale della natura, nella sua sinfonica danza (corsa, caduta) per la vita (morte). Sgomento. "The end". Travolgente. Poi è stato "Our century", mediometraggio in cui "si ringraziano gli astronauti russi". Dai "Film Studios di Erevan", gli eroi dello spazio (sull'acqua). Le pulsazioni elettroniche della galassia, dove l'unico ossigeno è quello di Jarre Jr. Un'illusione che attraversa i fallimenti (zeppelin sarà rock). Sempre intenso, dopo ventitré minuti, ancora: "non è così". Animale estremamente testardo, l'uomo.
Grande sensibilità audio-video, in tackle.
(depa)
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