La pena sì

E' la quarta volta che incontriamo Sydney Pollack. Il regista di Lafayette, Indiana, nel 1972 realizzò il suo secondo western, dove la "sua" New Hollywood brillò di più, tesa a spezzare, per via di un trapper leggendario, le catene che imprigionavano tanti dei canovacci classici. "Corvo rosso non avrai il mio scalpo!" (olè, como una produçion italo-espagnola!), titolo originale "Jeremiah Johnson", narra proprio di quest'uomo solo delle montagne, tra lupi e pellirosse. Era lui l'intruso.
"WB presents", Robert Redford, che sette volte incontrò l'autore connazionale, "in Technicolor (filmed in Panavision)". "Carattere forte dallo spirito avventuriero", "voleva diventare un grande cacciatore di pelli" ("castori, orsi, lontre..."). "Questa è la sua leggenda". Freddo, vento, li senti. Tratto da due romanzi, ricco di situazioni e personaggi, una vera avventura. Solitudini silenziose, gesti scambiati. Una bella casa in legno e letame. Pollack sornione sino a metà strada, all'attacco dei lupi, funesti annunciatori. Poi arrivano i soldati. E' la fine.
Nel cuore delle Montagne Rocciose, le musiche di Rubinstein cesellano momenti e panorami. Il dolore, tutti i cari morti, un cavallo umanissimo, fuoco a tutto, via! Non c'è più pace, né per il corpo, né per lo spirito (anche se là "non ci sono chiese, né preti!").
Pellicola solitaria, intimista per forza, brutale e crepuscolare. -"E ne è valsa la pena?", -"Eh? E chi lo sa?".
Cuore grande, vendetta a bestia, grande Jeremiah.
(depa)

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