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In vista d'un rassegna, tra amici, conclusiva della filmografia del grande Kim Ki-duk, vien fotta di scrivere delle sue opere, inimitabili, sontuose sonate dal basso. Mesi fa, al Florence Korean FF, è stata la volta di "Indirizzo sconosciuto" (t.o: "Suchwiin bulmyeong"), del 2001: Elena ed io presenti nella Valéry. Inizia a pesare, scrivere di quest'autore. Angoscia a colori ammalianti, violenza che accarezza e poi lividi. D'amore, di rabbia.
U.S. Army. Anni '70 del XX° secolo. "Pace nel mondo. Ci pensiamo solo noi americani". [ma nessun animale è stato maltrattato]. Violenza ed eros. Le accecanti immagini del regista sudcoreano. La ragazza orba che rincorre lungo la plastica. "Gli occhi degli uomini fanno più paura". Tutti orbi. Prevaricazione e senso d'abbandono. Pellicola che ha il ritmo, il flow, del giovane Ki-duk. Splendida atmosfera, si fa per dire, sospesa in un non luogo (un bus-casa, tuttorosso, al centro). Kim, ancora più audace, qualcosa di amaro, gioioso, balcanico ("glu glu a testa in giù"). Rasente la genialità. Persino il soldato umano (non è facile). Il fil di ferro inghiottito per la...è l'apice del potente contorcimento kimiano. Desolato e pessimista. La solitudine genera mostri. E non c'è gemma all'orizzonte.
A parte i suoi restanti film.
(depa)

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