Young boarder

Nella sezione "Independent Korea" dell'ultimo Festival del cinema coreano di Firenze, ha partecipato anche l'attore-regista, classe 1979, Lee Hwan. Suo secondo lungometraggio, "Anche i giovani contano" (t.o. "Young adult matters", "Eo-reun-deul-eun mul-la-yo"!), del 2020, è un racconto ai limiti delle adolescenze urbane. Tanto chiasso, molto spreco.
La natalizia glacialità dei social. Lee ne affresca qualche danno. Luci al neon colorate per generazioni sintetiche. Giovani ninfe metropolitane si aggirano come spettri. L'inadeguatezza cronica degli adulti. I loro consigli pregni di mera autorità. BAM! Che botta. Adolescenza al femminile, bullismo, avventure, nottate, "mattate" (batèl), bad companies e casuali amicizie. Disagio giovanile, che poi divien di tutti.
Pellicola aeriforme, che mancano gli appigli. Qualche ridondanza, le medesime dei fattoni, con l'alcol che perpetua. Motus mortis. Colori e luci colano bava, sulla pittorica fotografia pop (stravista). Non può che finire in autolesionismo, esistenziale prima che fisico. "Anche tu ti sei fidato degli adulti". Il Baron Vittimismo fa capolino, tra svariate sigarette e qualche clip sunset lounge-board da tagliare. Aborro. Aborto. Il direttore sudcoreano pare perdersi in estetica tossicologica. Violenza tutt'attorno. Personalità pericolose, mine vaganti, in certi campi. Insistita, come ultimamente per il cinema mondiale, "colpiscilo!". Ma non è morta (inverosimile quel sorriso). Ed ecco i Servizi Sociali, sempiterna beffa, che causano video confusionali finali, turna.
(depa)

Nessun commento:

Posta un commento