Nella sezione "Orizzonti coreani" dell'ultimo Florence Korea FF, era ospitato anche "Innocenza", del 2020, scritto e diretto dal sudcoreano, classe 1977, Park Sang-hyun. Esordio alla regia che conferma-ribadisce la maturità della scuola cinematografica coreana, da cui ormai ti aspetti sempre di più, ma senza lamentarti. Thriller che finisce in aula, senza risentirne.
Urka "Columbia", per un legal movie come gli altri film visti al festival. Fattura encomiabile, inventiva discutibile. Fotografia grigio-metallizzata sul gelo dei cuori. Giustizia è fatta, significa che non lo è. Altra "tenera" fotografia del sistema di collusione tra politica e malaffare. E militare. Nulla di nuovo all'orizzonte sudcoreano, nemmeno le ottime interpretazioni degli attori. Qui molte generazioni, dall'esperta Bae Jong-Ok (1964), alla fresca Shin Hye-Sun (1989). Regia attenta, con parsimonia si concede lazzi (la sovrapposizione dei due volti delle donne) e vezzi orientali: il film centrifuga macchiettistico e tragico. Ne ricorderemo certo il piano sequenza iniziale, il resto Noon-So.
(depa)
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