Aridaje uno spaghetti all'italiana. Ancora una volta Django. Eh no. Scritto e diretto dal romano, classe 1925, Sergio Garrone, "Django il Bastardo" (1969) è un western che, diretto oltreoceano, sarebbe cult. Qui, da noi, resta maiuscolo.
Anthony Steffen, poi una schiera. "E con Rada Rassimov". Luigi Santini alla fotografia, ma, soprattutto, le musiche dei "Vasco e Mancuso (Milano)". Fuori c'è un tizio che cerca Sam (RIP, 1881). Giustiziere col mantello, appare e scompare, sino alla fossa. Cavaliere obliquo, ma la mira è dritta. Amori paranoici, il più pazzo è il più saggio (non arriverà a maggio).
A Dirty City la legge è morta. Croci su croci, la fila s'allunga. Nuvole vere, Dirty City occupata, evacuata, squassata. I musicisti milanesi vanno di fino e schitarrano sui morti. "Il grande Murdok braccato da uno spettro che lo fa ballare su una corda". Da un soggetto comune, scritto a due mani con lo stesso Steffen, Antonio De Teffé (1930-2004), uno splendido vendicatore sudista. Django fantasma, se ne frega dei soldi.
Mentre io, di Sergio Garrone, ne voglio altri.
(depa)
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