Pluriniente

Sulla scia dei registi piacioni ai teenager d'ogni decade, sta Richard Linklater. Incontrammo già, piacevolmente, il regista di Houston così attento ad interessare senza urti.
Amo il mio naso, così tarchiato, ma autorevole: a bloccarmi dinanzi al cinema, se la locandina riporta "Boyhood" (2014). Pellicola "pluripremiata", "innovativa", non solo non colpisce, ma nemmeno incuriosisce. Le riprese prolungate nel tempo, dodici anni, paraculata da "figo", è tutto ciò che può generare fan. Il peggio è che basta. Peccato.
Dal ciclo "In America", sul canale Iris, questa pellicola della "Universal" che tanto e niente fece parlare di sé. Il dolce bambino Mason, un ragazzo normale. I grandi non sono in grado (W gli spray!). Chi non reagirebbe così ad "Ops I did it again"? Regia che non c'è. Ha lo spessore di una hit di una boyband anni 2000. Scontatissimo (negli USA se fumi una canna dai in escandescenza), in ammollo coi buoni sentimenti. Tranne un'evocativa compilation dei Beatles e un discorso minimo sulla digitalizzazione delle vite, tutto inutile (al cinema sarei uscito). Elucubrazioni adolescenziali spicciole, ben immerse nel chiacchiericcio politico degli adulti, autorità in famiglia etc...Palese che il regista voglia saziare la sua fame di realismo e di "very normal people". Ma, con tanta normalità, ci si chiede dove vada a parare. L'episodio col latinos è da censura. Ma è strettamente Kaufman. Da qui i miei dubbi sul remissivo autore texano, cugino di Anderson, suo vicino, con cui tengono commoventi lezioni ("credevo di avere più tempo"). Sopporto il film attendendo un meteorite, un grosso incidente...
Quando il "come" annichilisce il "cosa", restando nulla. Con tutto questo popò di risorse, non si sarebbe potuto scrivere un soggetto serio?
(depa)

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