Para bellum

Manco ho scritto di uno, scrivo di un altro. Film. Nello specifico, basta che vi leggiate attorno, "western". Era il 1952, quando fui travolto dalle lotte tra coloni e apache. Durò più di nove mesi, i meticci scrissero la loro filmografia. "La carica degli apaches" (t.o. "The Half-breed"), diretto dal montatore statunitense Stuart Gilmore (1909-1971), è una pellicola corretta, che pone con onestà tutto sul tavolo, pure la gelosia.
"An RKO Radio Picture", con Robert Young e "color by Technicolor". "Terminata la Guerra di Secessione", il meticcio chiama razzismo. Eccone uno, Johnny "Il Falco", felice-giusto, rabbioso-iroso. Ne va dell'armistizio.
Un rinomato giocatore, "a parlamentare con gli indiani?!", Dan Craig, gentiluomo da sposare (ché sa anche sparare), abituato a prenderla calma e semplice (acqua e biada).
"Gli apache vorranno vedere scorrere sangue". "Beh, non hanno torto", riconosce Craig. "Fermarli senza spargere sangue", assicura il colonnello. Dubita Danny, mentre ogni retorica impatta sulla sua granitica coerenza. Del film.
Il già citato technicolor è tutto per Miss Helen (Janis Carter, 1913-1994), fucsia-nero da imbizzarrire. Per lei, la pellicola si fa rosa e cupa. Quindi il blocco Craig scricchiola. Ahia, pazza idea. Irrompe Gelosia (ergo: vanità), di giallo vestita. La pace tra visi pallidi e indiani appesa ad un filo (di raso (rosa)). Tamburi di guerra: Nani è stata uccisa, in una pellicola che, tra scenografie curate e paesaggi fascinosi, si fa spessa proprio con le cuspidi razziali (dietro ogni volto).
(depa)

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