Seconda serata 'Rofum con Batti, speriamo vada. La proposta è di due giorni fa, del buon Mino, ed è calda. Per la prima volta nella genovese "Valéry", torna il bianco e nero parigino di Jacques Becker. Il regista dei bassi fondi della Città della Luce, nel 1960, realizzò la sua opera esemplare, inattesa testamentaria. A un anno dalla strage di stato nelle carceri di Modena, del marzo 2020 (13 morti), "Il buco" grida ancora volontà di libertà.
Scioperi della fame (noi questo pane non lo mangiamo più). "Perché sono innocente!". Normali angherie, fisiologici e sgradevoli surplus (due schiavi a lucidare il corridoio del direttore. Rumori di fondo di speranza (colonna sonora copertura). L'inquadratura sul "periscopio", così bella da chiamare per sé lo splendido shock finale. Stacchi classici o audaci, tendine, prospettive "impossibili" e accattivanti. "Certe cose o si fanno smaccatamente o...". Becker mostra tutto, treminutiemmezzo di febbricitante fatica, fisica (l'unico lavoro autonomo). Sul girato atletico dello sfortunato regista, la scrittura sopraffina, col colpo già in canna, subito lungo la traiettoria sotterranea. Uomini in gabbia, dignità braccata ma salva. Non uomini fuori, il peggio nei corridoi. E' disumana la grinta del secondino, col sadismo del ragno. Lima e fuoco. Padroni della situazione, questi grandiosi dilettanti. Tra loro, il mozzo-parà parigino Philippe Leroy, oggi novantunenne, e l'esperto plurievaso Jean Keraudy (1920-2001, ottobre). Determinati e fedeli. Non conta com'è andata (solo chi non lotta ha già perso). "Povero Gaspard".
Solidarietà a Nicola, Alfredo, Natascia, Juan, Robert. Nadia. Beppe. Libertà.
(depa)
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