Balza in testa alla coda, il film, appena visto, di Abbas Kiarostami. Perché vien facile sbrigliar pensiero e parole sulle dolci note, in immagini, del regista iraniano: "Il sapore della ciliegia" (1997, Palma d'oro). En plain air, su strade ausiliarie: un landrover di dolore, lungo le curve periferiche della vita.
Al grido "un manovale?!", manco la forza di rispondere. Lo sguardo ("nostro", col regista) che rimane incollato ad espressioni e paesaggi (tutti). Incipit perfetto. K. ha scritto, prodotto, diretto e montato. Fuori dall'auto, riprese liberano potenza. Primi piani, campi lunghi, camera car, panoramiche.
Contadini-soldati kurdi in addestramento. Seminaristi-manovali afghani da amici presso il cantiere. Ragazzi da qualche "stan" che raccolgono tra la rumenta. Volti. Facce sveglie...
Cantastorie fraterno, Abbas. L'imbarazzo s'inerpica sino all'angoscia, man mano che, Badī, tanto normale...Ma siamo in Iran e la vittima è l'assassino.
Per colonna sonora: motore, clacson, grida, cinguettii. Siam formichine, dai (è vero o no?). E' come parlare di Responsabilità ad un suicida.
Cinema alto. Non budget: coefficiente di qualità. Recentemente, s'è scritto dell'ironia per scardinare l'assurdo (reale). Allora (?), K. è Lupin.
Fuoco fatuo d'ombra kamikaze, nella polvere. I gelsi toccasana, con la saggezza d'extraurbana. "Il rosso e il giallo del tramonto, non li vuoi più vedere?". E' il Kiarostami di Abc Speranza (Marker direbbe "avercele, le ciliege"). Morale: il giorno stabilito: K.way.
"Queste quattro stagioni, le guardi mai?"
(depa)
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