Quando troppo è

Il secondo di Rafael Romero Marchent che passa dal 'Rofum è l'esordio del regista madrileno. Anno 1965, "Mani di pistolero", produzione italo-spagnola che fece scuola, è un western robusto e spietato. Come i personaggi di quei luoghi.

Stincoraro

Finito di vedere "Hondo" (t.o. "Hondo and the Apaches", 1966). Bel tipo, "Hondo". Fuori dal mondo di allora, nel bel mezzo del "Far West", come oggi. Leale e fraterno, più simile ad alcuni apache, che a molti bianchi. Rispetto a lui, tutti mezzi uomini. Un buon "bollino verde", girato con sapienza dallo statunitense Lee H. Katzin (1935-2002). Non è il tizio del 1953.

Castelli di Gabbia

In pieno cinema americano, "RaiMovie" ha proposto un titolone da paragrafi saggistici. Montaggio. Paesaggio. Sontuosa accademia, pur con tutto l'ardore dentro, che attenta all'attenzione dello spettatore. "I cancelli del cielo" (t.o. "Heaven's gate"), del 1980, director's cut Michael Cimino, è tutto crepuscolato.

Para bellum

Manco ho scritto di uno, scrivo di un altro. Film. Nello specifico, basta che vi leggiate attorno, "western". Era il 1952, quando fui travolto dalle lotte tra coloni e apache. Durò più di nove mesi, i meticci scrissero la loro filmografia. "La carica degli apaches" (t.o. "The Half-breed"), diretto dal montatore statunitense Stuart Gilmore (1909-1971), è una pellicola corretta, che pone con onestà tutto sul tavolo, pure la gelosia.

Amica Butta

Ancora. Inseguo il Cinema. Lo divoro, sbrano: lui sbrana me. Tipo che vedo Bave attorno, su divani, tappezzerie, tra le luci d'un western. Aargh! Fotografia marcata, atmosfera crepuscolare, a raccontar di un ex-eroe, braccati da banditi e fantasmi. "La taglia è tua... l'uomo l'ammazzo io!" è un bon-bon del 1969, scritto e diretto dal nuorese (!) Edward G.Muller (1925-2005). Trattasi di Edoardo Mulargia, una firma da seguire.

Belzebù al miele

Bambini venite qui
! (sto cercando di radunare i miei piccoli grandi film). Tra gli svariati volti del "western", ho trovato "Cat Ballou". Pazzariello del 1965, è figlio del regista bostoniano, classe 1927, Elliot Silverstein. Due madri: Parodia e Musica, a smorzare i toni di una rappresentazione altrove tesa, spaccona, violenta.

La parabola del Pugno

Cos'era? Il 1980. No; intendo, quando l'abbiamo visto. Ah, era il 2009, allorché, piccoli e bassi, bussammo alla Prima Porta. Fu quella di Martin Scorsese. Umile permesso alla Settima. Era nella "sala Uander" di Milano (lacrima); nella "Valéry", giusto sia Simone a ricongiungere i fili. "Toro scatenato", 1980, appunto, è la storia di Jacke La Motta, curva fulminea, rabbia e umiliazioni, gloria e disfatta. Attorno, distillato d'arte in movimento: la rude gentriness del Bronx, montata in sontuoso bianconero, da un sarto (cinematografico) unico e inconfondibile del Queens.

Liberx tuttx

Seconda serata 'Rofum con Batti, speriamo vada. La proposta è di due giorni fa, del buon Mino, ed è calda. Per la prima volta nella genovese "Valéry", torna il bianco e nero parigino di Jacques Becker. Il regista dei bassi fondi della Città della Luce, nel 1960, realizzò la sua opera esemplare, inattesa testamentaria. A un anno dalla strage di stato nelle carceri di Modena, del marzo 2020 (13 morti), "Il buco" grida ancora volontà di libertà.

Nasa otturata

Fregola in Clint Eastwood street. Voglia di arrivare, terminare. Strada tronfia, residenziale, villette spaziali di esseri hollywoodiani. "Space cowboys", del 2000, porta alle stelle il vuoto dell'autore californiano, trascinando fuori orbita astri e satelliti di colleghi del vecchio millennio.

Le Bisou d'Azur

Ieri, per la "Valéry", è ripassato sir Alfred Hitchcock. Lo ha fatto giocosamente, con una panoramica Azzurra, tutta-fiori. "Caccia al ladro" ("To catch a thief"), del 1955 (annus comedy), sprinta veloce lungo la fatal Côte, brivido e amore si baciano sotto gli artifici infuocati d'una storia giallorosa.

Fico duro

Il Cinerofum respira. Nel suo moto lento e incostante risucchia qualcuno. Venerdì sera è stato Batti, impellicolato nella "Valéry". Il primo passo di questa passeggiata è stato sulla già bazzicata Clint Eastwood avenue. "L'uomo nel mirino" (t.o. "The gauntlet"), del 1977, va bene così. Scorretto, gonfiato, con una logica esatta, statunitense, tutta sua. Da vedere, non crediate Clint abbia fatto meglio.

City Parabola

Dai...appena finito di vedere "Cimarron", di "girare, girare, sino ad essere esausta", vien da scriverne. Western del 1960, quindi nella fase calante del robusto regista Anthony Mann, non ne risente. Epopea di conquista e d'ingiustizia, la famiglia di Yancey Cravat, nata morta. Una famiglia.

Per qualche voto in più

Fernando Di Leo ormai non li tenne più. Nel 1974, Adorf passò il testimone a Silva, che tracciò sullo schermo, bazooka sberle silenziatori, la curva di un'ascesa criminale e democratica. Statale. "Il Boss". Col Ministro. Et voila le milieu.

Figli Cannibale

"Recuperato" l'esordio di Jean-Pierre Jeunet (si-fa-per, era l'anno scorso), colgonsi originalità e focus delle sue mosse artistiche, come la loro fissità. "Delicatessen", del 1991, codiretto col nantese classe 1956 Marc Caro, è una grottesca satira sociale, distopia ben aggrappata al reale, perciò graffiante smussata. Quasi che il top (piani alti) sia capire tutto e per tutti averne. Tra incudine e cartello, l'amore.

Luca. Navigli

Fernando Di Leo torna presto. In sala "Valéry". Nello stesso anno (?) il guerriero Mario Adorf, da protagonista, si riprende la scena. Al secondo isolato del gagliardo milieu allestito dal regista pugliese, c'è Luca Canali, magnaccia dal cuore morbido, che accarezza gatti e minorenni: pure lui nel tetanico ingranaggio. "La mala ordina", 1972.

Bulls Brothers

Tra le vallate del Texas mi sono imbattuto in un regista travolto e relegato dal maccartismo. Quale motivo più valido per tirare Edward Dmytryk nel mezzo della Valéry? Il regista canadese di origini ucraine, che si fece da solo, non s'è certo presentato col suo file migliore. Perso nella squilibrata verbosità, sacrosanto disgusto, "Alvarez Kelly" (1966) non può che lasciar campo aperto alle bestie, meno idiote dei militari e disumane degli uomini.

Piazza Chino Rocco

Rivisto ieri, ché Elena doveva toccare con. "Milano calibro 9" è un filmone del 1972 di Fernando Di Leo. Già incontrato sul 'Rofum col discusso scabroso di ventenni, il regista pugliese ribadisce la lucida e secca, resa incandescente, visione della società; con una pellicola cresciuta cult, milano rock progressiva che tira pugni e svuota il caricatore. La spirale allucinatoria trafigge la tempia.

Anzi che ava

11 giorni con Mario Bava. 10 e mezzo, va'. Ve lo consiglio. L'autore colorrorifico (dai su...), docente anti-cattedra di Estetica della Paura, nel 1975, vide senza volere il proprio nome legato al titolo "La casa dell'esorcismo", del "suo" produttore Alfredo Leone. Il film, quindi, è "directed by Mickey Lion", che, dopo tre anni, ripossessò sia Lisa sia il diavolo.

Whotel Rosso

Faticosamente su per la Clint Eastwood avenue. Nel 1971, altro antieroe solitario e tenebroso. "Lo straniero senza nome" (t.o. "High plains drifter"). E' il più duro, non v'è dubbio. Stavolta, ad accoglierci, almeno una scenografia rosso fuoco che fa dimenticare "il resto".

Dipende...

Se una commedia di Mario Bava "rischia" di trapassare il cuore, esattamente come le perle terribili del mare che gli è consono, si mette in luce, se ancora ve ne fosse, la versatilità del regista sanremese. Mastro lambiccatore di generi, in "Quante volte...quella notte" (ancora 1971) solletica con un mnemonico gioco di viste, "Cubo di Kuro" in cui l'apparenza si scatena.

Requiem per il Passato

Appena regalato al Prof. e chiacchierato con Simone, sì faccio viceversa, ho anche guardato "Lo specchio" (1975), di Andrej Tarkovskij. Pellicola pilastro, un lungo intenso doloroso ricordo. Volgersi al passato, è parlare coi morti.

No gentrification

Era il 1972 quando Mario Bava realizzò "Gli orrori del castello di Norimberga" (t.o. "Baron Blood"). Una data come tante, per un film come pochi. "Directed by" un autore il cui nome, assieme a quello dei fidi collaboratori, dovrebbe echeggiare. E lo fa, sentite?

E Flachi, l'hai mai visto?

Balza in testa alla coda, il film, appena visto, di Abbas Kiarostami. Perché vien facile sbrigliar pensiero e parole sulle dolci note, in immagini, del regista iraniano: "Il sapore della ciliegia" (1997, Palma d'oro). En plain air, su strade ausiliarie: un landrover di dolore, lungo le curve periferiche della vita.

Volante Sacro

Altro Mario Bava, altro horror gourmet. "Reazione a catena", del 1971, per oscuro sottotitolo "Ecologia del delitto", che rivela più di mille squarci, è un caleidoscopico vortice d'assassinio. Troppa rabbia nell'aria, si condensa in rosso.

Arcistufi

Continua il Trieste Film Festival, attento e presente. In concorso, anche una buona pellicola bulgara su xenofobia e razzismo. Tema sempre urgente. Quella dei migranti, emergenza permanente e inestricabile delle democrature. "Paura" (2020), scritto e diretto da Ivaylo Hristov, sofiese classe 1955 (non nuovo all'argomento), avanza sprezzante, a testa alta, fucile in mano se, sino al calore al centro della gelo.

Eva tra i dollari

Balzo mascherato in avanti e siamo al 1968, quando Mario Bava si dilettò con "Diabolik" (t.o. "Danger: Diabolik"). L'artista ligustico, che ve lo dico a, nei colori e architetture del fumetto delle sorelle milanesi Giussani, trova la terra permessa, dove sbrigliare la propria arte, manuale, creativa; ironica giallonera.

Rabbia muta

Riprendo il "Trieste Film". Le pellicole in concorso proseguono lungo il sentiero irto di dolore e carico di rabbia. "Padre", serba del 2020 scritta e diretta da Srdan Golubović (1972), ha convinto sia Elena sia me: rassegna lucida, proprio perché disperata, sulle nostre gloriose Istituzioni. Reale triste.

I colori del ruolo

Facciamo un salto indietro, che poi rimane "in avanti", a braccetto con Mario Bava. Siamo nel 1961 ed esce "Ercole al centro della terra", peplum che non necessita di presentazioni. Suggestioni...una mitologia resa concreta ed avvincente da un narratore tutto da ascoltare.

L'oro di Maria

Seconda volta che il 'Rofum s'imbatte in Umberto Lenzi; di nuovo, uno "Spaghetti Western" che è un piacere guardare. Perché "Tutto per tutto", del 1968, ha intensità nel ritmo e nelle immagini; senza dimenticare, ancora, la fratricida lotta nella Città dell'Uomo.

NOOOOOOOO!

NOOOOOOOOOOOO! Cioè, sì, o meglio, "Mario Bava". "Operazione paura", del 1966 (t.i. "Kill, Baby, Kill!"...), ti mette all'angolo e comincia a pregare che so' cazzi. Paura. Niente di meno. Molto di più. Come vedete, lo spavento può dare assuefazione.

Futuro ricordo

Non aveva senso continuare a parlare della prima perla raccolta di Chris Marker; ne ha molto, invece, esplorare la sua filmografia. E' ancora causa Simone, che "Sans soleil", del 1983, giunse ad impreziosire il Cinerofum. Cinema in versi. Liriche sostanziose (colla mano che stringe in basso, indicando "ciccia"), meravigliose. Non solo. Docusperimentale che scuote mezzo e destinatario. Su su, guardare, che siamo in ritardo.

Respect, Ator

Arrampicandosi per la filmografia di Mario Bava, ci si imbatte, lapide 1966, ne "I coltelli del vendicatore". "Directed by John Old", non cambiano solfa (terrifica ossessiva), né sostanza (plasmatica). Cupi forsennati eroi del Nord, soffiano come il vento, si posano in cenere.