Quando si lotta, si lotta soli.

Pure venerdì scorso, cinema. Se leggi Stéphane Brizé e Vincent Lindon ormai pensi a cinema sociale. Dopo l'agghiacciante finestra sulla legge del mercato, caterpillar d'esistenze, tre anni dopo siamo qui a scoprire innanzitutto che l'operaio c'è ancora e, in secondo luogo, che "In guerra", al suo "fianco", sono ancora gli sfruttatori di sempre. Cinema doveroso che regge: al di là della retorica politica e sindacale (dei potenti) v'è la rabbia sprecata di chi non trova un'efficace guida alla lotta  di classe.

Finestra tra le bombe

Venerdì scorso abbiamo mantenuto l'impegno buttato lì qualche giorno prima (àpropos, Gui', l'hai visto?). Elena, Mino ed Io arrampicati ai "Cappuccini" per vedere il documentario siriano "Still recording", annunciato in grande pompa (un classico per la newsletter dei simpatici gestori) come mescolanza innovativa di reportage di guerra e discorso meta-cinematografico. Scritto e diretto a quattro mani da Saeed Al Batal, Ghiath Ayoub. Per noi, non c'è bisogno di abbellire alcunché, quando sullo schermo c'è orrore a sufficienza.

"La vita è un balocco..."


Mercoledì sera, stanchezza per una cinema, la sala Valéry in soccorso. Era un po' che Elena ed io non c'imbattevamo in Mario Monicelli, pertanto è stato piacevole rivedere il maestro col suo umore più caciarone. "Vita libera e bella, un giorno qui un giorno là, dove portano i piedi e la fortuna", quella che ci raccontò, nel 1987, tramite le rocambolesche avventure de "I Picari". Due in particolare: Enrico Montesano e Giancarlo Giannini che, in terra ispanica, s'imbatteranno in tanti celebri colleghi, dando luogo a siparietti tutti da ridere.

Giallorosa su letto di nondetti

La crescita cinematografica di Elena è evidente. Il Cinerofum può essere fiero della sua prima ed unica madrina, vera e propria mascotte della Sala Uander prima, Valéry dopo, se è vero che ormai spinge verso un cinema anche il sabato pomeriggio. Quello appena trascorso, per esempio, è stato speso con "Tutti lo sanno", ultimo lavoro di Asghar Farhadi, dove Penelope Cruz e Javier Bardem, coppia VIP sul set e a casa, portano avanti, su suolo europeo, l'esplorazione cara al regista iraniano sui rapporti interpersonali, travolgenti (quelli), poiché incapaci (noi).

Senza lasciare nulla

Altro venerdì, altro film. Chissà quando diverrà un automatismo, una sorta di luogo comune, assodato e vero. Questa volta la scelta, che ha coinvolto ancora lo sfortunato, si fa per dire, Mino, è caduta sul nome di Debra Granik, regista statunitense che si fece pulce e mise nido nei miei padiglioni (causa suggerimento familiare di otto anni fa). "Senza lasciare traccia" parte ottimamente, colla determinazione di chi vuol davvero indicare una diversa direzione, lontanissima dalla società del consumo e del spettacolo, più aderente alla natura che ci apparterrebbe. Ma infine chiude come se pensare ed agire differenti siano segni inequivocabili d'una follia. E allora viene da dire "cosa l'ho visto a fare?".

VoltaPadrone

Nella cartella di Forman Miloš, su cui mi poso sempre volentieri, ieri l'altro ho trovato "L'ultimo inquisitore" (2006) scritto e diretto dallo stesso regista cecoslovacco (oggi ceco). Ruotante attorno all'Inquisizione spagnola (abolita ufficialmente nel 1834, ma sempre attiva nei cuori neri) e alla figura di Francisco Goya, mette in campo una sceneggiatura avvincente da consumare veloce per godersi le bellezze dell'artista, gli obbrobri dell'Uomo.

Responsabilità Capitali

Il 18 settembre del "1938: quando scoprimmo di non essere più italiani". Documentario del giornalista romano Pietro Suber, uscito nei giorni scorsi nelle sale, ha reso doverosa la salita del Cinerofum sino alla "Filmclub". Le leggi razziali vergogna tutta italiana, bruttissima copia di ciò che accadde a Berlino, misero in luce, senza che nessuno prendesse nota definitivamente (ci mancherebbe), di quale razza di brava gente fossimo e siamo. Si parte con quel fantastico discorso da un balcone di piazza Unità d'Italia, Trieste: "L'ebraismo mondiale è stato un nemico irreconciliabile del fascismo!"...come si vedrà in questo interessante doc...magari.

Spigole e spari

Venerdì scorso, in sala Valéry, è tornato a trovarci il regista di Salò, Luigi Comencini, portandosi a presso una matta pellicola del 1977. "Il gatto", scritto dal bellunese Rodolfo Sonego, è una commedia comica ambientata in un condominio abitato da inquilini come tanti, misteriosi e stravaganti, ed amministrato da...Ugo Tognazzi e Mariangela Melato: ho scritto tutto.

Gossip di corte

In assenza. Spiazzati dalla mancata riapertura dell'"Altrove", tragedia cinematografica del centro storico di Genova, nei lunedì che verranno le proveremo tutte per tenerne alto, almeno, il prezioso ricordo. Lo scorso, per esempio, ho invitato in sala Valéry il regista classe 1940 di Leicester, Stephen Frears, il quale ha insistito per la visione di "The queen", pellicola dal 2006.

Grandi cattivi!

La "Valéry", intendo la Sala, s'è presa una bella cotta. Basta dare un celere sguardo alle ultime bobine sciorinate sullo schermo, per capire quali siano i suoi sentimenti per Vittorio De Sica. Domenica scorsa, il regista sorano ci ha portato un suo celebre invito ad una maggiore attenzione: "I bambini ci guardano", del 1943, pur nella dirompente forma che annunciò la nuova ondata del cinema italiano del Secondo Dopoguerra, esprime un cruccio per nulla nuovo, anzi, vecchio e bigotto come il titolo, che s'espande ed esaspera come un tempo i volti più espressionisti.

Baciapile su marte

Questo sabato sono riuscito a tenere fermo pure Mino. "Film cileno", lui si fida e chissà per quanto ancora rimarrà tormentone. In effetti da Sebastián Lelio, viste le due precedenti opere, in cui di nuovo si percorrevano i meandri emotivi di donne da raccontare, mi sarei atteso un altra profonda incursione tra le loro difficoltà. "Disobendience", invece, le sbaglia tutte, raccattando dove possibile un topos letterario, cinematografico, e immergendolo in dialoghi da romanzetto. Vi lascio immaginare che scrittura. Peccato per una regia capace, inevitabilmente offuscata. Tra le cause, la produzione statunitense? Nel dubbio, Seba, prenota il primo aereo per Santiago.

Tardi e mai

Venerdì scorso, oramai le si provano tutte, Elena ed io buoni buoni al cinema Sivori. La scelta era tra i due film ivi presentati. Del secondo vi saprò dire, del primo lo so già: "Le ereditiere", pelìcula paraguayana scritta e diretta dall'esordiente Marcelo Martinessi, lascia l'ottima interpretazione della protagonista, Anna Brun (le è valsa L'orso d'argento come migliore attrice) e il rammarico si non averla posizionata in un quadro altrettanto solido e convincente. Donna non cresciuta, Chela diventa specchio d'una borghesia nazionale che, tanto per cambiare, risulta del tutto impreparata.

Mens sana in corpore suo

Mercoledì scorso nel mirino c'era un film in Sala Valéry, ma grazie all'incursione di Mino si finisce al "Nickelodeon". Sempre di film si tratta, quindi bersaglio colpito. Mentre mi dirigo, do un'occhiata al paese di produzione, Belgio, Olanda...nessun rischio. In effetti "Girl", scritto e diretto dall'esordiente belga Lukas Dhont, di soli 27 anni, risulta ben lontano dalle umide e appiccicaticce sovrastrutture mentali che attanagliano chi si aggira nei pressi della città dei papi (e non solo), riesce a maneggiare la materia LGBT con delicatezza ed attenzione per noi singolari. Non solo, ricordate il titolo del blog?, il film offre sequenze da esperto ed un'interpretazione da ricordare.

Sex on boh

Ecco là. Quando pare che Il Cinerofum sia tornato ai fasti che lo rendono celebre (?), scivolone e film commerciale senza pretese (di chi?). Diciamo che lo si è fatto per la compagnia: Enri, io e FrD, nella sala senza nome di quest'ultimo, a vedere "The escort", diretto nel 2015 dallo statunitense Will Slocombe (chiii?). Le proviamo tutte: "una sorta di remake della Donna Pretty!", "Bella 'sta battuta però!", "Che gran f%$a però!" (per Frd no)...accampandoci infine presso il classico ed educato "Però non è così stupido". Che dire, guardatelo ed esprimetevi. Ah, in sintesi, una escort ed un satiriaco d'incontrano...

Solo con un cane

Domenica scorsa, in sala Valéry, ancora Vittorio De Sica. Quando il Cinerofum si prende una cotta, lo sapete, diventa appiccicoso, ossessivo. Non che, a riguardo, si faccia dei problemi; anzi, adora insistere. E continuerà a farlo sino a quando quest'indole degradata gli procurerà pellicole come "Umberto D.". Del 1952, dedicato al padre, in esso il regista infuse un'eco di tenerezza così amara che, complice il sempiterno rimpianto del Sommo Fuggitivo, la sua visione risulta appagante quanto straziante.

Fiaba di capanne e terra

Ieri è tornato in Sala Valéry, travestito da mago, il grande regista sorano Vittorio De Sica. Magia ha voluto portarci e, difatti, forza della fantasia s'è diffusa tra schermo e divano. "Miracolo a Milano", del 1951, è volo amaro su ciò che potrebbe, ma non è. Sogno ad occhi aperti d'una comunità che non ha bisogno, perché fa da sé.

Lotte d'altri mondi

Sino a mercoledì scorso, al "Sivori" in cima a Salita Santa Caterina, era in programmazione l'ultimo documentario del regista bresciano Silvano Agosti (classe 1938), che introduciamo con grande piacere nel Cinerofum. "Ora e sempre Riprendiamoci la Vita" è una carrellata di lotta di classe. Studenti ed operai che dal 1968 al 1978 (Moro) scesero nelle piazze per contrastare i soliti interessi economici e servi a guardia degli stessi, per suggerire (e realizzare?) una società diversa da quella che, negli anni, verrà identificata con la sintetica tripla "Produci, Consuma, Crepa", marchio registrato (ma replicabile) del capitalismo. Tutto bello, tutto perso.

Giustizia "zelante"

Sabato scorso, nel pomeriggio, mi son scappate due ore. M'è stato facile, dato il recente suggerimento di Bubu "Bomboclat" from Port Antonio (ieri sera: "Qual è...più? Di cosa parla?", annàmobbene), quasi istintivo, dicevo, scegliere "Tutti dentro", commedia a sfondo giudiziario scritta, diretta e interpretata da Alberto Sordi nel 1984. Il tempo scorre lungo una pellicola che non rimarrà nelle retine, ma un piccolo tarlo, che enorme dovrebbe essere, lo abbandona lì...sopra la nostra morbida ed illusoria fiducia nelle istituzioni.

Che merd[)e...

Giovedì scorso, scusate il rit., Spike Lee. Al "City" è in programmazione l'ultimo lavoro del regista afroamericano da sempre in lotta contro il razzismo, dietro la m.d.p. e davanti ai microfoni. Elena ed io fummo pronti per "BlacKkKlansman". Lontano dall'esplosiva quanto sterile retorica, spesso mancante il bersaglio (il nesso economico su tutti), questa volta l'autore di Atlanta pensa a confezionare un film d'azione che intrattiene, diverte e, con sorpresa, ancor più di roboanti accusatorie individua vari aspetti del problema (come detto, non tutti).

Nulla resta

Mercoledì scorso l'unica cosa abbordabile nelle sale cinematografiche è stato "Lucky", film d'esordio dell'attore statunitense classe '963 John Carrol Lynch. Figuratevi la soddisfazione, quindi, nel ritrovarsi davanti ad un film inutile, dal canovaccio logoro e cosparso di facili quanto sterili sentimenti. Se bastasse piazzare sullo schermo un simpatico vecchietto, il cinema sarebbe ben poca cosa. D'altronde, per celebrare un nonagenario di Hollywood, come Harry Dean Stanton (1926-2017) qui al suo canto del cigno (morrà pochi mesi dopo), si può organizzare una festa ben più.