Venerdì scorso, oramai le si provano tutte, Elena ed io buoni buoni al cinema Sivori. La scelta era tra i due film ivi presentati. Del secondo vi saprò dire, del primo lo so già: "Le ereditiere", pelìcula paraguayana scritta e diretta dall'esordiente Marcelo Martinessi, lascia l'ottima interpretazione della protagonista, Anna Brun (le è valsa L'orso d'argento come migliore attrice) e il rammarico si non averla posizionata in un quadro altrettanto solido e convincente. Donna non cresciuta, Chela diventa specchio d'una borghesia nazionale che, tanto per cambiare, risulta del tutto impreparata.
E parlo di scrittura, non dell'impostazione registica, invero interessante per un regista al primo cimento. Martinessi, classe 1973 di Asunción, ha ideato una pellicola sospesa tra i luoghi; gli esterni sono collegamenti invisibili tra gli intimi ambienti dei personaggi, che paiono creature deboli e timorose di ogni contatto esterno (non solo perché vegliarde). Il risultato è efficace, così come il finale: asciutto ed attento. Manca, però, un guizzo che renda le ripetute corse in taxi più utili ai fini del discorso, già allestito in poche battute.
Figure da campane di vetro, dicevo, basterebbe una folata di aria nuova a dare loro lo slancio davvero vitale. Alla protagonista capiterà così, tra un passaggio nel carcere variegato e rumoroso e un bicchiere di vino con sigaretta offerti da una donna ben più sportiva. Ossessione per il possesso e per il tempo sprecato, quindi, si intrecciano con delicatezza (ho difficoltà a definire questo film drammatico), lungo la galleria di fantasmi e scheletri disseminati da una società che pare più pratica nella gestione di un museo delle cere, piuttosto che nella gestione degli istinti vitali degli individui. Ma ormai il cicaleccio delle ipocrisie s'è materializzato in quello stesso vino e sigaretta, nella posa per consumarli, e, oggi, nell'ultimo sansung. Forse Martinessi sta suggerendo di darci una svegliata. Come dargli torto.
(depa)
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