Mercoledì scorso l'unica cosa abbordabile nelle sale cinematografiche è stato "Lucky", film d'esordio dell'attore statunitense classe '963 John Carrol Lynch. Figuratevi la soddisfazione, quindi, nel ritrovarsi davanti ad un film inutile, dal canovaccio logoro e cosparso di facili quanto sterili sentimenti. Se bastasse piazzare sullo schermo un simpatico vecchietto, il cinema sarebbe ben poca cosa. D'altronde, per celebrare un nonagenario di Hollywood, come Harry Dean Stanton (1926-2017) qui al suo canto del cigno (morrà pochi mesi dopo), si può organizzare una festa ben più.
La presentazione-abluzione del protagonista rimarrà uno dei punti più alti della pellicola. Poi, ben realizzata, essa si limiterà a seguire il bizzarro protagonista, tra le sue manie e le sue profondità. Sull'abisso degli anni passati, ancor più pauroso visto dalla cima di due scarne gambette, mai dome, seppur più fragili. Il tempo scorre e la sensazione di un'astuta mossa degli autori, ricorrenti ad uno schema oliato e scontato si fa strada.
Dopotutto, l'azzardo sta nel confidare che il pubblico si affezioni ad un vecchio arnese che passa le giornate a far parole crociate. Può essere, come no. Non sono certo le sue circolari passeggiate tra bar, shop e pub, a frustrare; l'interesse, semmai, va a farsi benedire poiché di marines languidi, dimenticati ma mai dimentichi, ne abbiamo piene le palle.
Eppure qualche spunto, particolarmente efficace in bocca o in mente al fantasmatico protagonista, ha offerto la giusta dose di dissacrante distacco da queste, ormai ben poco nostre, esistenze ("quando sarò morto, la mia famiglia!" urlano gli assicuratori, notabili etc...ma viene davvero da chiedersi in quale pasticcio ci siamo ficcati).
Infine, la sequenza della festa di compleanno, dove Lucky, "sputato fuori dalla balena", s'abbandona alla malinconia da mariachi, forse, non riesce ad essere peggiore della chiusura col sorriso. Evitabile, poiché non resta nù cazz'.
(depa)
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