Era ancora luglio quando, con Elena, decidemmo di guardare. Dal
romanzo semiautobiografico, del 1978, dell’austriaca Ingeborg Day (1940-2011), aka
Elizabeth McNeill, incontriamo per la seconda volta l’inglese Adrian Lyne: “9
settimane e ½”, del 1986, è una sensuale escursione nell’Eros gioioso, con cadute
e distorsioni quando diventa sport nazionale: dominio e prevaricazione.
Rivisto dopo anni, non certo quando uscì: ma aspettando la VHS di “Panorama”
del 1995, quando più stimolato e in grado di apprezzare. Senza prezzo una
sbandata per un corpo, l’incidente fatale tra due corpi contendenti, tra denti
di adulti consenzienti. La fotografia ricercata, e trovata, affinché la silhouette
di Kim Basinger disintegri dighe e argini. L’amor sesso come fuga, per entrambi, oggi tutti, i
sessi. La sana evasione finché non c’è oppressione. Ma soprattutto, non ridete,
una pellicola di sguardi. Il soggetto rarefatto perfetto per il
testosterone in aria. Dissento che abbia perso cogli anni, anzi, consumata la
fregola se ne può apprezzare il taglio autoriale, per nulla distante dalle
ultime scopate parigine di quattordici anni prima. La gioia di vivere tra petting e posizioni twister (quella la scena clou, mica lo spogliarello
con Joe Cocker), senza troppe paure, ché poi così psicopatico non è: un po’ di
ghiaccio, fragole. E’ il frustino che suona l’allarme, è il denaro che lo
raccoglie. D’altronde, lei la prima commuoversi per stracci griffato
da 200$ e orologi cafonati.
Inoltre, il pungolo metacinematografico di chi, proprio in quel momento, non lo
sta facendo, ma sta, appunto, guardando. Con ciò che può comportare…
Morale: impossibile mantenersi il lavoro con una vita così.
(depa)
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