Quando si lotta, si lotta soli.

Pure venerdì scorso, cinema. Se leggi Stéphane Brizé e Vincent Lindon ormai pensi a cinema sociale. Dopo l'agghiacciante finestra sulla legge del mercato, caterpillar d'esistenze, tre anni dopo siamo qui a scoprire innanzitutto che l'operaio c'è ancora e, in secondo luogo, che "In guerra", al suo "fianco", sono ancora gli sfruttatori di sempre. Cinema doveroso che regge: al di là della retorica politica e sindacale (dei potenti) v'è la rabbia sprecata di chi non trova un'efficace guida alla lotta  di classe.

"Tutti si sentono traditi"; si apre così una pellicola che fa molto leva sul senso di lealtà. E di idiozia. Perché se qualcuno, dopo centinaia d'anni, ha ancora fiducia nei patti tra lavoratori e sfruttatori, è chiaro che non possa considerarsi una lince. Tema noto, materia cinematografica delicata, che Brizé decide con coraggio di (tornare a?, quale filmografia per la sempiterna lotta di classe?) manipolare, riuscendo a tenere il ritmo della rabbia, in maniera asciutta, con Lindon capopopolo sensibile e credibile. La m.d.p. guizza, tra chi entra ed esce dalla scena (l'ingresso della gendarmerie in antisommossa a sgomberare i lavoratori, col movimento della macchina a tenere in primissimo piano il berretto tipico, se vogliamo: a tenere la giusta distanza tra chi lotta e noi, il pubblico, per lo più comodo tra divano e televisione).
Se c'è un ingenuità, nel film di Brizé, è quella di allestire un conflitto sociale (cartelli "figli della lotta" accompagnati con astuzia, come tutta la pellicola, da riff cupi, potenti ed incalzanti), quando e dove non v'è. Teatrino al tavolo delle trattative, spettacolo d'appendice in strada. Non è vero che non si può insultare la "gente" (l'aguzzino ben pagato di turno), si DEVE. Prima i salariati lo capiranno, senza cedere a stupidi rimorsi d'etichetta (gli stessi che lo mettono, di fatto, in mutande di fronte ai padroni), più vicina sarà la loro liberazione. Hai voglia a parlare (e sperare) con ministri pagati proprio per trovar le belle parole. Una lotta che non sia anticapitalista, non può mettere al riparo dagli opportunisti che calpestano il campo di battaglia per bieco interesse (aumento di stipendio, buona uscita o che altro). Ecco un autentico tradimento, seppur scontato. Le stesse richiesta di equità e giustizia sono, in regime capitalista, semplicemente assurde, ingenue.
In finale, ancora una volta un plauso alle forze dell'ordine, di cui dimentichiamo troppo spesso i preziosi servigi (noi, loro no: sono i primi che chiamano). Tanto prima o poi vi guarderete dentro (e vedrete il vuoto).
(depa)

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