Ieri sera, in sala Uander, è tornato Billy Wilder; sì, il regista austro-ungarico (oggi si direbbe polacco), prima di Natale ci ha voluto salutare con una delle sue opere più ricordate: "Viale del tramonto", del 1950, è un Wilder meno brillante e gioioso delle opere successive che abbiamo visto sinora in sala, anzi, in questa pellicola il vostro ottimismo andrà a farsi benedire; forse il regista in quegli anni aveva ancora negli occhi la fuga da quella sua Europa in preda alla violenza, forse non si sentiva ancora così grato a quella Hollywood che lo rese immortale (scambio equo tra i due), o forse i produttori gli spiegarono solo dopo questa pellicola angosciante che far sorridere (almeno in superficie) è più redditizio. Comunque sia, Billy Wilder che dirige una Gloria "Norma" Swanson così non permette di girarsi dall'altra parte, anche se fa male allo stomaco. Pilastro di marmo durissimo della Settima.
Extra: Woody, Parigi e l'Old Fashion
Ieri sera, in quel "gran cinema" che è il Plinius, sempre pronto a raccattare "euri" qua e là, io ed Elena ci siamo precipitati a vedere l'ultima fatica di Woody. Siamo quasi alla cinquantesima bobina ma, per il regista hollywoodiano classe 1935, i metri di pellicola volano, come fossero primi appassionati esperimenti, a trasportare il pubblico in sala, con la solita acuta leggerezza, su città e riflessioni. "Midnight in Paris" è il classico lavoro di Woody Allen, diverte in maniera intelligente; in questo caso, se lo svolgimento non soddisfa al 100% è perché un film non può durare 7 ore; dopo il "The end" tocca a noi.
Extra: Il cinema si gira, tributo al muto.
Il Cinerofum riapre dopo la meritata pausa "Kampu-Thai" e si reca al cinema a vedere un film di cui sentì parlare a Cannes 2011. Michel Hazanavicius, parigino classe 67, ricordandosi del cinema che fu, si volta indietro più che i Coen, con il loro uomo smemorato, solo per citare uno dei recenti sul 'Rofum, e, oltre a rispolverare ed esaltare il bianco e nero, riesuma addirittura l'assenza di sonoro, realizzando un vero e proprio "muto": "The Artist" è un coraggioso tributo a quel cinema cui viene sempre più voglia di rivolgersi. Il risultato, per me, ottimo: i cuoricini negli occhi degli innamorati delle pellicole ante 1929, seppur non rossi per ovvi motivi, battono forte all'uscita dalla sala.
Extra: Kubrick e l'Etica.
Altro Stanley Kubrick, questa volta il suo quarto lavoro, datato 1957: "Orizzonti di gloria". Grande esercizio di sintesi del regista americano che, sfruttando il precipitare degli eventi classico delle vicende militari, ci mostra, in realtà, non solo la bassezza morale che permea gli ambienti militari ma anche il problema di fondo comune a ogni esemplare della specie umana: l'egoismo che si trascina appresso una sostanziale repressione di qualunque etica morale (per sé) e civile (verso gli altri).
Extra: Eterno Faust
Cinema Arlecchino, quello tra San Babila e il Duomo, una traversa di Corso Vittorio Emanuele; io ed Elena spavaldi entriamo e già l'entusiasmo scema di qualche grado quando scopriamo che più si prova ad andare in un cinema "per pochi", più ci si tiene alla larga dalle multisale, più il prezzo da pagare sarà alto, 8 euro, tié, basta cinema e pizza per noi coppiette degli anni 2000; cinema e di corsa a casa: benvenuti a Milano, la città dalle mille possibilità. "Eh ma lei non sa le spese", già, già; peccato che anche lei non sappia le spese, penso io...Torniamo a noi: spavaldi perché ormai pensiamo di poterci sparare un "Faust" di un regista russo, così, con nonchalance (come direbbe Richard Romeo).
Extra: Gaglianone, nemmeno col destino
Ieri ser...leggete l'inizio degli altri editor, questo è uguale. Di diverso c'è che 'sta volta il film è il secondo lungometraggio dell'anconetano (torinese d'adozione) Daniele Gaglianone: "Nemmeno il destino" è del 2004, ed è anche il secondo film dell'autore che ho visto, dopo quel "Ruggine" che mi deluse parecchio.
Extra: Hitch, altro amore folle
Ieri sera su Iris, che colgo l'occasione di ringraziare, super programmazione; la sala Uander accetta il dono e alle 21 tutti seduti (io ed Elena) a vedere un altro Hitchcock e in particolare, proprio dopo "Io ti salverò", un altro giallo psicologico: nel 1964, fase più che matura della sua produzione, Alfred Hitchcock confermò la modella acqua e sapone statunitense "Tippi" Hedren (che lo convinse con le sue scenate di panico de "Gli uccelli", dell'anno precedente) e chiamò l'agente segreto "007" affinché, con sguardo malizioso e parlata frizzantina, accudisse la prima; il risultato fu un "Marnie" tutto da seguire, cosparsa di quella stessa alta tensione che attanaglia una mente in costante fuga, un animo sempre rincorso da ricordi spaventosi.
Extra: Roma ricordata per sempre
Ieri sera in sala Uander, film d'autore per definizione, ideato, scritto (insieme a Zappoli) e diretto da Federico Fellini: "Roma" è un film del 1972, quello precedente all'uscita di "Amarcord", di cui rappresenta una sorta di prova generale, allenandosi a filmare i ricordi e i sogni del passato, questa volta prendendo in considerazione quelli legati alla capitale.
Extra: schiavismo di von Trier?
Ieri sera, io ed Elena abbiamo voluto portare avanti il discorso che Lars von Trier intraprese con "Dogville". "La grazia" si sposta a Sud-Est, scende giù dalle montagne ai campi di cotone, approdando, nel "2005" a "Manderlay", in Alabama. Dalle alte vette del primo capitolo, questa volta il regista danese scende ad altitudini più basse, ad argomentazioni (così basilari nella prima puntata) più terra-terra. Si entra più nel concreto, ci si sporca di più le mani, e la polvere, purtroppo, sporca anche la pellicola.
Extra: Addio Muro, goodbye sogno
Grande Oberdan; non sotanto perché il film è gratuito (eh ouh, c'è crisi) ma perché hai permesso a me e ad Elena di recuperare una altro tassello mancante che, almeno per il sottoscritto, ha causato parecchie scene mute di fronte a cerchie chiacchierine. Mercoledì scorso, in ritardo di 8 anni, siamo andati a vedere un film che d'ora in poi classificheremo come "bellissimo", anche a costo di stonare se, tra tanti maestri roboanti, ne citeremo il regista pronunciando umilmente: "Wolfgang Becker"; sì il nome mette paura, ma il nostro ha suscitato 3 o 4 righe su Wikipedia e collezionato lo stesso numero di pellicole. Beh, il suo "Goodbye Lenin!" è davvero un bel film.
M.A.S.H.
Appuntamento LXXXI:
Ieri sera il Cinerofum, travestito da classica sala Uander con addosso Elena, Paolino e me, ha ospitato amabilmente un regista che non può essere ignorato nell'ambito della nostra iniziativa. Robert Altman da Kansas City, classe 1925, deve essere argomentato con l'insieme delle sue opere, dissacrante e anticanonico. Scomparso cinque anni fa, ottantunenne, viene ricordato in questi giorni, al museo del cinema di Torino, da una mostra fotografica in cui spiccano le immagini di un film (il suo quinto) che rappresentò il biglietto da visita che, da lì in poi, avrebbe lasciato a tanti timorosi e scettici produttori: "M.A.S.H.", del 1970.
Ieri sera il Cinerofum, travestito da classica sala Uander con addosso Elena, Paolino e me, ha ospitato amabilmente un regista che non può essere ignorato nell'ambito della nostra iniziativa. Robert Altman da Kansas City, classe 1925, deve essere argomentato con l'insieme delle sue opere, dissacrante e anticanonico. Scomparso cinque anni fa, ottantunenne, viene ricordato in questi giorni, al museo del cinema di Torino, da una mostra fotografica in cui spiccano le immagini di un film (il suo quinto) che rappresentò il biglietto da visita che, da lì in poi, avrebbe lasciato a tanti timorosi e scettici produttori: "M.A.S.H.", del 1970.
Extra: Egoyan e il serial killer più dolce
E facciamolo 'sto monumento alla sala Uander! Sempre più pronta, sempre più preparata, più all'altezza, col suo flusso continuo di film importanti, con la sua tecnologia avanzata. Con lei siamo cresciuti anche noi, un po' più consapevoli del fascino autentico della "Settima". Altro nuovo regista introdotto nella nostra: classe 1960, nato a El Cairo ma cresciuto in Canada, origini armene...Tic-tac, tic-tac: difficile così, e anche un po' sterile, d'ora in poi lo riconosceremo per il suo stile dalla poetica asciutta: Atom Egoyan; il suo ottavo lungometraggio è "Il viaggio di Felicia". Thriller senza rosso sangue, solo verde Irlanda e bianco poesia.
Extra: Hitch e la psicoanalisi, anzi no, l'amore
Sabato di pioggia (e fango) a Genova. Nella sala Lenin di piazza Negri, Alfred Hitchcock intrattiene me ed Elena con un film che attirò la nostra attenzione per alcune suggestive sequenze intraviste al museo del Cinema di Torino. Il film è "Io ti salverò" (t.o. "Spellbound", incantato), del 1945, e l'"involucro di pseudo-psicanalisi" che circonda questa intrigante "storia di caccia all'uomo" posiziona questa pellicola tra le più originali del regista inglese maestro della suspence.
Extra: Risorse disumane dalla Terra Santa alla Romania
Venerdì scorso, solitario in quel di Milano, decido di trascorrrere quel lasso di tempo spesso non speso, in quanto sospeso (tra una porta d'ufficio e il portone di casa), in maniera più costruttiva, sceso a Porta Venezia mi dirigo verso l'Oberdan. dove è in programmazione un film del regista israeliano Eran Riklis, classe 1954: "Il responsabile delle risorse umane" è il suo nono film, datato 2010.
Extra: Uccidere senza esistere
Ieri sera, in sala...ok, lo sapete, io e...anche questo lo sapete, abbiamo visto un bel noir dei Fratelli di Minneapolis, Joel ed Ethan Coen. L'anno è il 2001 e questa loro nona opera s'intitola "L'uomo che non c'era". Se il film di Hitchcock, visto qualche giorno fa, fu un metronomo, quello di ieri sera è stato una squadra. Il bianco e nero che diventa mostra fotografica dove volti si mescolano a rette perpendicolari regala due ore d'incanto.
Extra: Alfred ne sapeva troppo
Ieri sera io ed Elena ci siamo affidati al canale Iris che, ultimamente, pare sia l'unico canale a cui viene in mente di trasmettere film (!?) che non siano "Ep. XXIV" o "Sally ti presento Mary, una pornostar". Tutt'altro, per esempio in questo periodo, di mercoledì, in prima serata un Hitchcock e, a seguire, un Kubrick; niente male! Quindi, ieri la ruota si è fermata su un filmone da "libidine coi fiocchi": "L'uomo che sapeva troppo", 1956, del maestro inglesAlfred Hitchcock
Extra: la fine che innalza
Appena usciti dalla sala Fedra in cui, io ed Elena, abbiamo visto l'ultimo lavoro di Lars von Trier: "Melancholia" è uscito quest'anno, presentato al festival di Venezia 2011. Il regista danese continua il suo percorso, macete in mano e anfibi ai piedi, verso un cinema inesplorato e, dopo aver distrutto il musical che racconta balle zuccherine, dopo aver dimostrato che il cinema può dimenticarsi dell'ambientazione ricercata inquadrando “solo” parole e sentimenti, tira la freccia ancora più lontano, azzarda di più e ci consegna un film esistenziale: follia, inquietudine, paura, natura, vita, morte.
Extra: Lars von Trier sull'Uomo
La scorsa settimana ce l'ho fatta; dopo otto anni, ricchi di chiacchierate stroncate e di reazioni incomprese e, quindi, non partecipate, solo soletto, dopo aver già provato quell'emozione che è stata "Woyzeck", decido di fare anche io la conoscenza di "Dogville", paesino creato da Lars von Trier nel 2003. Scenario scelto dal regista danese per un romanzo profondissimo nell'animale uomo, un'opera la cui intelligenza trafigge lo spettatore (che lo "vorrà"), un film la cui originalità è evidente. Mi vergogno di averci messo tanto.[...]
Extra: almeno i Talking Heads
Stasera, io ed Elena, siamo andati a vedere un altro "italiano" al cinema. Paolo Sorrentino, Napoli classe 1970, mi ricorda quanto stavo bene quando ai film italiani contemporanei non mi avvicinavo nemmeno e, per questo, lo ringrazio; inoltre, senza volerlo, mi ha regalato emozioni uniche nel sentire i, da poco ma intensamente approfonditi, Talking Heads con un pezzo su cui è impossibile non liberare il piedino all'oscillazione più appagante: “This must be the place”, 1977. Ah, quasi dimenticavo, quest'accozzaglia di siparietti assortiti ma non amalgamati è un film che ha lo stesso titolo e 34 anni di meno.
"Sunrise: a song of two humans"
Intima LXXX:
Non può che essere commentato subito. "Aurora: canzone di due esseri umani", film del 1927, del regista tedesco Friedrich Wilhelm Murnau, suscita emozioni che non possono essere lasciate libere, devono essere agganciate da lettere che le tirino giù, a spiaccicarsi su carta, sia pur digitale, bit bianchi, bit neri, a tener ferme quelle "cose" che si sono succedute per tutta la durata di questo indimenticabile film.
Non può che essere commentato subito. "Aurora: canzone di due esseri umani", film del 1927, del regista tedesco Friedrich Wilhelm Murnau, suscita emozioni che non possono essere lasciate libere, devono essere agganciate da lettere che le tirino giù, a spiaccicarsi su carta, sia pur digitale, bit bianchi, bit neri, a tener ferme quelle "cose" che si sono succedute per tutta la durata di questo indimenticabile film.
Extra: primi passi per Stanley
Venerdì scorso, in sala Uander, si è assistito all'iniziale gattonare libero, alle prime mosse autonome nello spazio cinema del regista newyorkese Stanley Kubrick; nel 1955, posata la macchina fotografica e dimenticato il "maldestro tentativo serio" di "Paura e desiderio" (da lui fatto sparire?), realizzò "Il bacio dell'assassino", film di poco più di un'ora di pellicola, in cui sono ben visibili le prime tracce dell'inconfondibile stile asciutto, geometrico e robusto del grande regista.
Extra: gli sgummuriati di Alan Taylor
Ieri sera, in sala Uander, il cinema indipendente fa un altro passo nel nostro Cinerofum: nel 1995, l'esordiente regista inglese Alan Taylor, classe '65, dirigendo tre attori anch'essi "novelli", realizzò un film divertente e pulito, senza sbavature o macchie sulla pellicola, dal titolo "Palookaville". Se Marlon Brando sul Waterfront avesse in mente proprio la banda di sderosciati capitanata da Vincent Gallo non lo so, ma sono sicuro che avrebbe apprezzato il buon cinema sbobinato in questi 90 minuti circa.
Extra: La civiltà si fa massacro*
Qualche settimana fa, con Elena, sono andato a vedere l'ultimo lavoro del regista nato francese, polacco d'origine e d'adozione, Roman Polański: "Carnage" (2011). Entrato in sala senza timori, sapendo che del regista ci si può fidare e di che tipo di film si trattasse, spiccatamente teatrale (tratto da "Il dio del massacro" di Y. Reza), interamente ambientato in un appartamento, tutto l'accento spostato sui meccanismi interpersonali e, lente d'ingrandimento allontanata, su quelli che intercorrono tra gruppi di persone. Il risultato, un film divertente, ben realizzato, che resta in mente soprattutto per l'ottima prova recitativa dei quattro protagonisti.
Extra: Carlito ha un cuore che non molla mai
Signore e signori...Brian De Palma. Prego, si accomodi Director...sì, facciamo tutto noi, desidera qualcosa da bere? Un sigaro? Nessun complimento, tutto quello che vuole. Noi del Cinerofum, siamo a sua completa disposizione. A chi, nel 1993, ha deciso di dirigere questa pellicola, al creatore di "Carlito's way" noi offriamo anche...anche...anche il divano! Sì, puoi dormire da noi Brian!
Extra: von Trier e il buio
Ieri sera, con la scusa di farlo a vedere a Elena, ho potuto rivedere, dopo undici anni, quel prezioso gioiello che è "Dancer in the dark", del danese Lars von Trier, datato 2000. E non c'è verso, l'oblio del tempo aveva annientato i fatti ma non le emozioni che, riesumate in sala Uander, si dimostrano accese e potenti come quelle di quattromila giorni fa, per nulla scolorite. Gran film.
Extra: La nave "Utopìa"
Sabato, tardo pomeriggio, riesco finalmente, dopo anni, a vedere un film a casa di mia mamma. E tanto basterebbe a ritenersi soddisfatti, ma in questo caso le ragioni potranno essere due; c'è anche il fatto che tra le mani m'è capitato un iraniano che dura quanto una partita (senza supplementari), quindi nessun problema per la cena con papà: "L'isola di ferro" è un film del 2005, di Mohammad Rasoulof.
Extra: Kar-wai e gli amori sfiorati
In sala Uander, ieri sera, io ed Elena abbiamo portato avanti il discorso di Shanghai, Wong Kar-wai. Nel 1994, il quarto film del regista cinese, girato tra una scena e l'altra del terzo, dà vita ad un'altra carezza fatta di colori e musiche: "Hong Kong Express". Struggente nell'inquadrare la solitudine di chi non lo era un'ora fa, dolcissimo nell'accompagnare due corpi nel loro lento avvicinarsi, un film di Kar-wai chiama a rapporto tutti i sensi, adunata generale che sola è all'altezza, quando all'ingresso si presenta lui, l'Amore.
Extra: Henry fa a pezzi
In sala Uander: io, Paolino e Ueza; in tre ad assistere al film-ansia con cui John McNaughton da Chicago, classe 1950, decise di mostrare degli ammazzati, corpi senza più vita uccisi senza esitazione, men che meno rimorsi o giustificazioni. Lo fece ottimamente, in maniera originale, utilizzando sapientemente fotografia e sonoro. "Henry: portrait of a serial Killer" (conosciuto in Italia col nome hollywoodiano di "Henry pioggia di sangue") è un film che impietrisce, un'esperienza che sciocca anche, e soprattutto, per le scelte stilistiche, oltre che per un soggetto, una storia che racconta una vera e propria strage.
Natural born killers
Appuntamento LXXIX:
In sala Uander, io e Albert Aporty, Paolino a supporto, tutti carichi a vedere l'ingresso psichedelico nella nostra iniziativa del regista newyorkese Oliver Stone, classe '46. Il film che ci ha catapultato anima e corpo in un'altra dimensione, fatta di immagini e di suoni intrecciati come non mai, alla corte dei due psicopatici d'amore Mickey e Mallory Knox, è "Assassini nati", del 1994. Il primo commento che mi viene in mente è "un film coi controcazzi".
Extra: "Brutti posti" di Malick
Domenica pomeriggio; la B, ahimé, c'è stata ieri (1-3 a Bergamo, wow entusiasmo,,,); e allora andiamo: sotto un altro Malick, ché devo capire. Anzi, per comprendere meglio quale sia l'excursus professionale del regista texano, questa volta parto dal principio. E questa volta ci siamo. O meglio, dovrei dire "ai tempi c'eravamo", visto che per chi scrive è innegabile (W la modestia!) che questo "La rabbia giovane" (titolo, una volta tanto, affascinante, con cui fu tradotto l'originale "Badlands") sia l'opera più riuscita, per me forse l'unica, tra quelle create da Terrence Malick.
Extra: Wong Kar-wai ama Hong Kong
Ormai innamorati delle pennellate audio-visive, insomma cinematografiche, di Wong Kar-wai (made in Hong- Kong d'acquisizione), è con emozione che ieri sera ci siamo seduti di fronte a "2046", pellicola del 2004 (facile da ricordare). E alla fine, soddisfatti? Uhm...ho la sensazione che ci si dica "sì", ma che si pensi "no".
Extra: Ruggine e nulla più
Il regista quarantacinquenne anconetano Daniele Gaglianone viene citato come uno degli "emergenti" italiani più promettenti. Bene, allora, italianofobia buttata giù, mi reco al Centrale per vedere un po' com'è questo "Ruggine". Tra l'altro, il cast annnovera la créme del nuovo cinema italiano: Accorsi e Mastandrea. Niente. Avrei fatto meglio a starmene a casa e infilare qualche film più "sicuro" nella Play.
Extra: Dr. Martens e bretelle: british style
Ieri sera al City di Genova, poco distante dal mitico Britannia, è la cultura skinhead che inonda la minuscola sala: pantaloni a sigaretta e da "acqua in casa", bretelle rosse su camicia a quadri, testa più o meno rasata, e Dr Martens d'ordinanza; intrinsecamente legati a tutto ciò, sullo sfondo, è la Thatcher, la vecchia e cara maestra di scuola "Meggie", bacchetta di legno e pugno di ferro, sempre pronta dar sfoggio di sé, del proprio tailleur, dimenticandosi dei nuovi figli della Union Jack, lasciati soli sotto i cavalcavia a tenersi compagnia con birra, punk, bombolette spray e discorsi, tanti discorsi che, a volte, conducevano a quel deragliamento dei valori che è la xenofobia. Il film che ci offre un ottimo spaccato della periferia inglese '80 è "This is England", di Shane Meadows, regista 40enne inglese.
Extra: terrestre di Gipì
Ieri sera, all'Eliseo di Milano, il 'rofum si è alzato dal divano, 91, metro rossa, Duomo e 2, TAC! E, incredibile a dirsi, lo ha fatto per un film italiano, di più!, un'opera prima di un fumettista: il pisano Gian Alfonso Pacinotti, detto Gipi, classe 1963. Il film s'intitola "L'ultimo terrestre" e per stravaganza, originalità della trama e per attenzione alla fotografia e alla regia, può valere la passeggiata e conseguente acquisto del biglietto. Certo, la sceneggiatura è un po' traballante, qualche tubo è storto, qualche trave viene giù, ma a noi serve anche questo: comprendere che realizzare un film non è come prepararsi un té (cito l'unica "pietanza" che sono in grado di allestire...).
Extra: Malick dietro a una farfalla
Ciao 'rofum. Inizia il mio viaggio, piuttosto breve peraltro, nell'opera del regista che si è permesso di prendere a calci cent'anni di storia del cinema, con quel film che ha ridotto a zombie alla Romero migliaia di spettatori (giuria di Cannes '11 in primis), convincendoli che dettagli su foglie e staccionate, panoramiche su campi aperti e mandrie in libertà bastino a determinare la qualità di una pellicola. Bene: i sintomi di questa distorta ingenuità sono riscontrabili già nelle prime opere, a quanto pare: "I giorni del cielo" di Terrence Malick, 1978.
Extra: Acqua, paura, Clouzot!
Nel 1955, il regista francese dell'oscuro, Henri-Georges Clouzot, girò uno spledido thriller, in cui la suspence inizia con la prima inquadratura, liquida, e termina con l'ultima, inquietante: "I diabolici". Non conoscevamo questo autore ed è stato un vero piacere accoglierlo in sala Uander, visto che ci ha intrattenuto con quasi due ore di inquadrature, sequenze e colpi di scena d'autore.
Extra: Altra s-Coppola per Venezia
Ciao 'rofum, è un anno che ronza per le sale milanesi un certo "Somewhere", del 2010, di Sofia Coppola (figlia di Francis Ford). Finalmente, chissà perché, ieri sera ho deciso di vederlo. Ah, sì, me ne ha parlato un amico e ho voluto poter rispondere con la mia. Film ambizioso nell'intenzione, sterile nel risultato. L'ennesimo shock del giorno dopo, però, me lo regala la giuria del Festival di Venezia: questo "filmetto" vinse il Leone d'Oro. Oltre che essere di "bigiotteria", questa pellicola è, quindi, anche utile: a comprendere quale valenza abbia, ormai, quel leoncino spelacchiato, gatto malandato che si aggira tra i canali.
Extra: Woody e le illusioni
Ieri sera, io ed Elena, siamo andati al cinema per vedere il film del 2010 di Woody Allen, "Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni". Elena un po' titubante per via dei giudizi severi reperiti in rete (...), io un po' più grato (quindi anche meno timoroso) a questo regista per il suo modo unico di fare cinema. Poi il film è iniziato e la Ele si è rassicurata, io ho fatto un sorriso beffardo, diretto a tutti quei grandissimi cinefili che se non colgono (figurarsi capire) una battuta dicono di annoiarsi, se non c'è un intreccio da "Soliti Sospetti" dicono di aver previsto tutto...grandissimi.
Extra: Truffaut e i "compassi"
Ieri sera ancora François Truffaut, in sala Uander, a spiegare quale bellezza si annidi nei polpacci e nelle caviglie delle donne, quali carezze uniche avvengano in quel tratto femminile quando brezza e stoffa si alleano; quando, alcune rapide dritte di fronte a sé, altre danzando qua e là, le donne regalano estetica universale agli sguardi di chi la sa cogliere. "L'uomo che amava le donne", 1977.
Extra: Lars Von Trier sull'Amore
Cinerofum sempre più spesso rigonfio di potentissime emozioni, si rischia l'infarto a vedere un cinema così: "Le onde del destino", del danese Lars Von Trier, è un film del 1996 che fa tremare le pareti del cuore. Una regia che accarezza e colpisce, una sceneggiatura che sprizza amore puro al 101%, interpreti eccezionali: questo film sull'Amore, sulla Follia e sul loro stretto legame è, non ho paura a dirlo, un film straordinariamente bello e...devastante.
Extra: Herzog dirige Kinsky
Ieri sera, solo soletto, mi sono potuto rilassare di fronte a un vecchio buon Herzog. Nel 1979, il regista di Monaco di Baviera, decise di misurarsi con "Woyzeck" di Georg Büchner. Alla fine della prova, si ha la sensazione fragorosa di aver assistito ad una grande opera classica, in cui il maestro Herzog, stravolto, scapigliato, dinanzi agli applausi scroscianti, ha diretto un'orchestra in cui tutti gli strumenti sono suonati alla perfezione da un unico, indimenticabile, attore: Klaus Kinski.
L'appartamento
Serata LXXVIII:
Il 'rofum nella canicola milanese prova a rialzare la testa; in sala Uander il ventilatore può restare fisso, tanto i presenti sono tre: Ele, Albert Aporty ed io. Sopra i 30° C, i medici cinematografici consigliano una sana commedia americana; noi, da bravi e ligi degenti, seguiamo alla lettera, e ingoiamo al volo il medicinale più celebre: "L'appartamento" di Billy Wilder, del 1960.
Il 'rofum nella canicola milanese prova a rialzare la testa; in sala Uander il ventilatore può restare fisso, tanto i presenti sono tre: Ele, Albert Aporty ed io. Sopra i 30° C, i medici cinematografici consigliano una sana commedia americana; noi, da bravi e ligi degenti, seguiamo alla lettera, e ingoiamo al volo il medicinale più celebre: "L'appartamento" di Billy Wilder, del 1960.
Extra: Godard nonsens-ato?
Jean-Luc Godard, va bene. L'hai voluto tu. O, forse, tu dirai: "Io non ho voluto proprio nulla". Non importa, allora mettiamola così: tu nel 1965 hai creato "Pierrot le fou" e io, 46 anni dopo, butterò giù impressioni e colori, che andranno ad aggiungersi a quelli già schizzati da milioni di persone, alcune delle quali dedite a carpire la tua arte, per trarne una propria inutile somma, altre non provandoci nemmeno, limitandosi a gridare "Sì!" o "No!".
Extra: "Bellissimi" Anna e Luchino
Un sabato pomeriggio di metà agosto è destinato a essere ricordato a lungo, se ha fatto da sfondo a un film come "Bellissima", del 1951, di Luchino Visconti. Sono in due ad uscire sugli scudi da quest'opera indimenticabile: l'emozionante Anna Magnani, autrice di una prova disarmante, e il regista-conte milanese, capace, già nel suo terzo lavoro, di confezionare un film neorealista fino al midollo, con scene che s'imprimeranno come poche altre nella mente dello spettatore.
Extra: Dillinger è morto
Ciao Cinerofum, ieri sera il regista milanese Marco Ferreri ha fatto il suo ingresso non-ufficiale nella tua umile storia. E lo ha fatto portando con sé un'opera davvero complessa e, forse per questo motivo, ancora più affascinante: "Dillinger è morto" è un film del 1969. Non è difficile per struttura e contenuti, ma per la forma: deve, a mio parere, essere vissuto intimamente, come viaggio introspettivo in ciò che eravamo, ciò che siamo, ciò che, inutile mentire, saremmo voluti essere...
Extra: Boorman e la paura...
Qualche giorno fa, in sala Uander, io e quello scamarcio di Mr. Brown abbiamo guardato un film il cui titolo rieccheggia da trent'anni nelle bocche dei villeggianti che partono per passare un bel fine-settimana in compagnia, nella natura. Il regista inglese John Boorman, nel 1972, decise di tradurre in cinema un libro che James Dickey scrisse due anni prima ("Dove porta il fiume"); il risultato è questo suo quinto lavoro: "Un tranquillo week end di paura".
Comprendere le ragioni per cui questo film sia diventato così celebre è un esercizio a volte facile, a volte impossibile...
Comprendere le ragioni per cui questo film sia diventato così celebre è un esercizio a volte facile, a volte impossibile...
Blow up
Occasione LXXVII:
Ieri altro Antonioni, altro percorso in quei meandri che non sono percorsi né da globuli né da neuroni, quelle vie lattee invisibili, percorse con accanimento, ogni giorno, da tutti gli esseri della terra; creuze dell'anima, a volte in discesa, altre in salita, arricchimento e affaticamento fattori comuni che vanno sempre e comunque a braccetto: "Blow up", Palma d'Oro 1966.
Ieri altro Antonioni, altro percorso in quei meandri che non sono percorsi né da globuli né da neuroni, quelle vie lattee invisibili, percorse con accanimento, ogni giorno, da tutti gli esseri della terra; creuze dell'anima, a volte in discesa, altre in salita, arricchimento e affaticamento fattori comuni che vanno sempre e comunque a braccetto: "Blow up", Palma d'Oro 1966.
Extra: L'uomo e il deserto dentro
Ciao Cinerofum, scriverò due righe a proposito di un film del regista dei turbamenti dell'animo umano: Michelangelo Antonioni. Nel 1975, chiamò Jack Nicholson e girò un film lento e difficile ma profondo, come un'operazione chirurgica, che va a scavare dentro per mostrare quanto vuoto possa starci. "Professione: reporter".
Extra: amore rapido e dolore
Cari 'rofumisti, iersi sera, all'Oberdan, mi è capitato di vedere un film davvero affascinante, una pellicola che da subito mi sento di consigliarvi, a costo di precipitare nello stucco. Nel 1958, il regista genovese Pietro Germi, decise di realizzare ed interpretare un film sulla passione, sulla morale, sulla famiglia e sulla società. E il risultato, per me, è stato quasi perfetto: "L'uomo di paglia".
Extra: il "bello" uccide a Venezia
Ciao 'rofum, appena terminata la visione, si deve provare a buttar giù su carta ciò che ci è passati davanti e dietro agli occhi. Perché il film è sontuoso, perché è tratto da un romanzo di Thomas Mann, perché il il regista è Luchino Visconti, perché ad avvolgere il tutto c'ha pensato un Gustav Mahler, unica colonna sonora possibile per le volte affrescate, gli immensi quadri dipinti dal conte milanese. 1971: "Morte a Venezia".
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