Extra: Wong Kar-wai ama Hong Kong

Ormai innamorati delle pennellate audio-visive, insomma cinematografiche, di Wong Kar-wai (made in Hong- Kong d'acquisizione), è con emozione che ieri sera ci siamo seduti di fronte a "2046", pellicola del 2004 (facile da ricordare). E alla fine, soddisfatti? Uhm...ho la sensazione che ci si dica "sì", ma che si pensi "no".
Wong Kar-wai ormai è nel nostro personale Olimpo della Settima; è col massimo rispetto che mi appresto a dire la mia su questa sua opera. Chi forgia pezzi rari come "In the mood for love" o "Angeli perduti" non può che far storcere il naso, forse, solo per impreparazione del destinatario o, più semplicemente, per una sbagliata personale disposizione nell'attimo della visione del film, intimisti come bisturi. Non saprei. Però il coinvolgimento non c'è stato. Anche ripetendosi "Lasciati andare, non c'è niente da capire", mossa che conduceva nella dolce trance nei già citati film-fiori, finisce con l'annoiare la giornata tipo del protagonista che, Proust bene in testa, ci ripete che è proprio il non possesso di una donna, il suo mistero, a rendercela la regina più affascinante e pericolosa.
Il film è da vedere perché bisogna sapere che c'è gente che gira in tal maniera. Come l'artigiano che porta avanti la professione, innamorato della propria arte, rifuggendo il lucro fine a se stesso, operando a mani nude, tornando a casa coi graffi sulle mani. Oddio, l'uso delle ultime tecnologie è sapiente, ma un po' come quelle case vinicole che, senza troppe lacrime, capiscono che quel mezzo può portar frutti di qualità sopraffina, amica dell'arte. Lo stacco con "In the mood for love" è più netto di quanto si sussurri nei corridoi e, più che una stanza d'albergo, il titolo lascia il fastidioso sospetto che, per il regista di Hong Kong, il luogo/tempo che sancirà il non ritorno definitivo non sia altro che il giorno in cui la piccolissima e potentissima dinamo economica, che è la sua città natale, ritornerà ad essere pezzo del gigante furgone a gasolio cinese.
Quadro cinematografico da vivere per sé. Conservarne le emozioni confuse, e condividerle con me.
(depa)

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