Appuntamento LXXIX:
In sala Uander, io e Albert Aporty, Paolino a supporto, tutti carichi a vedere l'ingresso psichedelico nella nostra iniziativa del regista newyorkese Oliver Stone, classe '46. Il film che ci ha catapultato anima e corpo in un'altra dimensione, fatta di immagini e di suoni intrecciati come non mai, alla corte dei due psicopatici d'amore Mickey e Mallory Knox, è "Assassini nati", del 1994. Il primo commento che mi viene in mente è "un film coi controcazzi".
Da vedere senza se e senza ma. Si sparino nella testa i bacchettoni che vi trovano solo violenza "gratuita". E un film! E' innanzitutto una storia d'amore eccezionale. Chi lo nega? Non credete che Mallory, nella sua follia di ragazza tirata su a pane e violenza, sia innamorata persa di quel ragazzo sporco di sangue di carne di manzo che non sbaglia una battuta ("Ti vesti sempre così o mi stavi aspettando?")? Non credete che è solo stando accanto a Mickey che si senta davvero completa, al sicuro, bene?
C'è anche un attacco al pianeta spettacolo che, cinicamente, non misura i litri di sangue ma le S barrate di dollaro (e la critica per cui il film stesso cada nello stesso reato è, davvero, più stupida e vuota di una chiacchera da bar che, almeno, comporterebbe una birra e la compagnia di un amico). Ma, soprattutto, questo è un film a sé stante; per creatività (altro punto: non mi interessa sentirmi dire "eh ma il primo a fare bla bla fu bla bla nel lontano...", mettiamola così: Oliver Stone non ha inventato nulla, ma l'ha ri-fatto straordinariamente; ha raccolto elementi in giro e ne ha fatto una frullata gusto bigbabol che lascia pezzettoni eterni nel palato dello spettatore), per sperimentazione, per visionarietà, per valore artistico intrinseco.
La scena iniziale è da mascella giù (possibile causa dell'irritazione dello sceneggiatore "Quentin" che usciva lo stesso anno col suo cinema "Pulp"?), la telecamera è una sedia a dondolo che guarda la prateria in attesa della tempesta in arrivo, tempesta che prende il nome di Mallory. Mal di mare e attesa scuotono il petto di chi è davanti allo schermo. Juliette Lewis è una bomba, per bellezza e potenza, deflagrazione pura di tutta violenza che le hanno pigiato dentro. Le scelte del regista bucano lo schermo, si mettono in mostra, nulla può e deve passare inosservato: la filastrocca che deciderà il destino dei due malcapitati, con la camera che saltella di qua e di là cavalcando il dito di Mallory, è un angoscioso piacere che si fa manifesto ideale del film. Nessuna ragione, solo follia, violenza e passione.
I due escono dal bar ed è l'inizio di un lungo viaggio durante il quale il regista seguirà senza filtro le sensazioni, spesso le visioni, dei due protagonisti. Impresa più difficile di quanto si creda, Stone ce la fa senza stroppiare. Butta la telecamera nella testa dei Knox e le immagini non possono che essere quelle. I cavalli alati sui cui Mickey giunge a Mallory non possono che avere schiuma alla bocca, retaggio dell'indelebile passato, le strade generano sparatorie immaginarie riflessi delle violenze reali. E' circondata Mallory; Mickey anche se, o proprio perché, "in qualità di Dio del suo mondo" può solo decidere di fare questo viaggio portandosi dietro la sua amata, ma saranno due percorsi paralleli. I due si amano più di chiunque altro ma, scherzo di quel destino a cui serenamente si rimettono, sono tenuti "distanti" dai propri incubi, non solo tra loro, ma anche da tutto il mondo attorno a loro.
La prima ora, i due protagonisti in libertà, potrebbe essere già un film col fiocco (la parodia a mo' di sit-com, la funghettata nel deserto...). Nella seconda ora, dopo la cattura, diventa un po' più asfissiante, rinchiuso nelle celle del penitenziario; Mickey e Mallory si defilano un po' e la follia si esprime attraverso i capelli di Tommy Lee Jones, strepitosa caricatura della guardia carceraria. Forse l'intervista, essendo la scena più "umana", rallenta un po' il ritmo. Ma una qualche "giustificazione" doveva essere fornita dalla mente alterata di Mickey. Non per questo ascoltata e, men che meno, accettatta! Quindi poche domande e risposte antropologiche ammenicole, cercate, forse, per non chiedersi come un regista possa aver concepito un film in cui venissero utilizzate più tecniche, più stili, più generi, più pellicole e averlo fatto così bene.
Film devastante, urge approfondimento serio su Oliver Stone.
(depa)
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