Ieri ser...leggete l'inizio degli altri editor, questo è uguale. Di diverso c'è che 'sta volta il film è il secondo lungometraggio dell'anconetano (torinese d'adozione) Daniele Gaglianone: "Nemmeno il destino" è del 2004, ed è anche il secondo film dell'autore che ho visto, dopo quel "Ruggine" che mi deluse parecchio.
Quindi...il film parte bene e non sembra mancare di troppo l'obiettivo più che ambizioso che si pone (piuttosto palesemente). Saltellando da un cinema neorealista ad uno più onirico-psicologico, il regista per buona parte del film ci consegna una nuova idea di cinema, originale quanto funzionale, per mostrare lo spaesamento che circonda i protagonisti. Si potrebbe anche lasciarsi scappare che il docente del Politecnico di Torino abbia davvero sfiorato il filmone; nonostante le sbavature non fossero mancate: la sequenza che racconta del dipinto in casa della "famiglia amica", con quelle vette che piacevano tanto al loro figlio, per me, fa sprofondare il film in quella palude che tante menti ottenebra che è il cinema nostrano (almeno quello a "lunga gittata"); la scena dell'interrogazione su Napoleone I...come dire...ecco non c'azzecca proprio (il che, in fin dei conti, è un complimento a tutta la restante pellicola). Mi ripeto: per i primi tre quarti circa di proiezione si vorrebbe quasi che il film finisse, non perché ciò che si è visto sia abbastanza, ma perché si intuisce quale piega stia irrimediabilmente prendendo l'opera di Gaglianone. A vivificare la sensazione di opera incompiuta, sfiorata, è la stravagante inconstanza nella recitazione dei due protagonisti. Se è più che evidente che i due non siano dei professionisti navigati, stupisce come oscillino tra un neorealismo d'annata (soprattutto Ferdi) e una recita di fine anno (soprattutto Ale).
Quando Ferdi decide di farla finita, è finita anche la benzina in sala. Quando, con i due anziani amici, Ale ritorna a vedere il dipinto, la climax è scesa a far la spesa, e hai voglia a tentare di accelerare...il motore s'è ingolfato. Le ultime sequenze, la madre che sdelira in camera, la vita in comunità, mi ricordano quando provavo a far partire lo Zip con spedalate ormai prive di speranza, cariche solo d'imbarazzo. Pathos e regia inesorabilmente avviluppati su se stessi. Ad esempio, la sequenza in montagna (pur apprezzabile nel contenuto), se tanto mi da tanto, l'avrei conclusa solo con una folle corsa verso il vuoto. Invece, non c'è stato alcun volo.
Altro italiano no, e avanti...
(depa)
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