Grande Oberdan; non sotanto perché il film è gratuito (eh ouh, c'è crisi) ma perché hai permesso a me e ad Elena di recuperare una altro tassello mancante che, almeno per il sottoscritto, ha causato parecchie scene mute di fronte a cerchie chiacchierine. Mercoledì scorso, in ritardo di 8 anni, siamo andati a vedere un film che d'ora in poi classificheremo come "bellissimo", anche a costo di stonare se, tra tanti maestri roboanti, ne citeremo il regista pronunciando umilmente: "Wolfgang Becker"; sì il nome mette paura, ma il nostro ha suscitato 3 o 4 righe su Wikipedia e collezionato lo stesso numero di pellicole. Beh, il suo "Goodbye Lenin!" è davvero un bel film.
Sarà il tema trattato, ancor più l'ambientazione, i colori, delle cose e delle persone, dei loro sguardi, delle loro speranze...sarà, ma dal primo frame di questa pellicola il mio stato d'animo è quello di un'innamorato, carico come una molla nel buttarsi a capofitto in ciò che sarà, titubante "come un babanetto in un night" per paura della classica "facciata". Ma il cuore batte in avanti ed io lo seguo passo-passo.
Ciò che mi ha colpito in questo film è stata la delicatezza; ormai entrato nella scherzosa parte del critico, con gli occhialini pigri che su non ci voglion stare, aspetto al varco il film, pronto a indicare il minimo segno di cedimento...che non ci sarà. A pensarci ancora non capisco come non sia mai caduto, su un campo così dissestato. La caduta del muro di Berlino ormai è universalmente considerata come il giro di boa degli ultimi 60 anni, lo spartiacque tra l'epoca delle ideologie e quella del mercanzie. E' come se due percorsi temporali fossero diventati tanto concentrati, densi, da solidificarsi, pigiato da Est, pigiato da Ovest, in una lunga striscia di cemento. Quel blocco si farà diga, accumulerà molta più acqua di quanta fosse prevista in fase di costruzione. Verrà giù, Vajont mondiale, a travolgere, ammazzare corpi di alcuni, allagare idee di altri; ad arricchire alcuni col nuovo terreno sgombro da conquistare, a spingere altri a travisare con i classici "Visto che avevo ragione?".
Il tema è ustionante (ma non può essere piegato, inossidabile) e il film lo mostra con gli occhi di un ragazzo (e chissà quanti come lui, non credo molti) che è cresciuto a pochi centimetri da quel fuoco. In lui c'è tutto, c'è la speranza, la delusione, il dubbio, la convinzione, la tenacia.
Momenti di grande poesia si alternano a quelli di agrodolce ironia. La sequenza statua di Lenin è da pelle d'oca ("Dolce vita" politica); "capita a molti, ci assomiglio soltanto" è una perla in cui si condensa tutta l'atmosfera delicata che permea il film; lo sguardo affettuoso della madre che, ormai caduto il velo, scopre quanto amore possa annidarsi in quel figlio troppo spesso inteso come prolungamento militante di sé, è una carezza che non si dimentica. Ma poi altri momenti (quel dirigibile che per un pelo non nuoce gravemente alla salute), altre trovate (i tre tributi all'evoluzione kubrickiana), altre scelte registiche originali e consapevoli.
Il volto di Daniel Brühl (e le sue capacità recitatorie), in questo film, non potrebbe essere sostituito, tanto è capace di esprimere quel bisogno di restare ancora un po' rinchiuso in quel passato con cui ha un po' flirtato un po' litigato, come in ogni realistica relazione. Ma tutti gli interpreti all'altezza, in ogni ruolo.
Emozionato come un bambino, concludo dicendo soltanto che vorrei che lo vedeste perché un documento storico che diventa favola di tale profondità è merce rara. Sarà che lo è anche quel sogno...
(depa)
Regista classe 1953, il film è del 2003!!
RispondiEliminaDopo aver visto e recensito "Le vite degli altri", con la visione di questo film, anch'esso spesso citato nelle giornate berlinesi e che, come il precedente, ricordavo pochissimo, si conclude il mio approfondimento sulla storia di Berlino Est e Ovest, almeno attraverso il cinema.
RispondiEliminaFilm eccezionale sia per i contenuti e sia per lo stile (sceneggiatura, recitazione, regia, scenografie...ciao!).
Per proteggere la madre malata di cuore e convinta socialista risvegliatasi dal coma dopo la caduta del muro, da un brusco shock, Alex le fa credere che la DDR vive ancora finchè, in una scena a circa tre quarti di film, la sua voce narrante dice: "Devo ammetterlo: ormai il gioco mi aveva preso la mano. La Repubblica Democratica che stavo creando per mia madre assomigliava sempre più a quella che avrei potuto desiderare io". E conclude la sua storiella per la madre con la caduta del muro "dall'altra parte", come fantasticavo io in conclusione della recensione del "Le vite degli altri", con un finto discorso di un finto nuovo presidente del consiglio della DDR che dichiara al finto tg: "Il socialismo non è nato per innalzare muri. Socialismo significa tendere la mano agli altri e insieme ad essi convivere pacificamente. Non è il sogno di un visionario ma un preciso progetto politico." ...Aaaaaaaaahhhhhhhhhh!!!
Gran bel film! E tanti rimpianti...