Extra: Hitch e la psicoanalisi, anzi no, l'amore

Sabato di pioggia (e fango) a Genova. Nella sala Lenin di piazza Negri, Alfred Hitchcock intrattiene me ed Elena con un film che attirò la nostra attenzione per alcune suggestive sequenze intraviste al museo del Cinema di Torino. Il film è "Io ti salverò" (t.o. "Spellbound", incantato), del 1945, e l'"involucro di pseudo-psicanalisi" che circonda questa intrigante "storia di caccia all'uomo" posiziona questa pellicola tra le più originali del regista inglese maestro della suspence.
Come in ogni Hitchcock che si rispetti, ritmo e mistero sono la vera forza di questo film; da subito si capisce che nel doctor Edwards (Gregory Peck) c'è qualcosa che non va, ma non bisogna intuire nulla, il regista ha meno di due ore e non vuole perdere tempo, sceglie bene su quali dettagli lo spettatore debba "sognare", "viaggiare". Appurato che lo psichiatra Edwards qualche strana fobia ce l'ha, è anche evidente che la dottoressa Peterson (Ingrid Bergman) s'è beccata una cotta pesante, vero e proprio colpo di fulmine, "Belìn! è rimasta come un baccalà!". Ed è qui che, tra i primi manualoni di psicanalisi impolverati e gli ultimi approfondimenti autografati sul complesso di colpa, irrompe nella clinica psichiatrica l'Amore, la passione che riuscirà a scalfire l'apparentemente algida psichiatra. Le avances del collega (audaci nel '45!), toccano corde che la bellissima dottoressa non ha nemmeno; la figura di Gregory Peck, invece, pigia sul suo immaginaro di attore hollywoodiano e lei crolla. Quell'Amore che, solo ai livelli massimi livelli, può comportare una rinuncia a tutto, compresa la paura. Non mollerà mai la Peterson, resterà aggrappata con le unghie al proprio uomo. Nel frattempo la polizia indaga e si avvicina alla conclusione più facile, più evidente, non c'è tempo da perdere né luogo in cui bivaccare.. Solo le porte aperte su se stesso potranno portare all'uscita di quest'incubo. Come l'Atlante nei finestrini del bus, all'inizio di "quel tale che ne sapeva oltre", stupisce che il maestro della creatività si accontentasse di un ben misero effetto per la sciata dei due nsotri (così immobili e attaccati l'uno all'altro, nemmeno due pluri-campioni del mondo)...E, forse, quando Truffaut asserisce che Gregory Peck non pare un attore hitchcockiano, è solo perché non ha digerito quel volto che invece di sembrare shockato, pare più che altro sparaflashato. Ma il film raggiunge l'obiettivo primario di un film di Hitchcock: intrattiene (bene). E il sogno e il viaggio prefissati ci sono tutti: il sogno è addirittura firmato Salvador Dalì, con tanto di occhi squarciati da "cane andaluso" che permette di spaziare più che mai nel non-spazio; il viaggio è rappresentato come una fuga incessante, dalle cliniche agli alberghi, dalle città alle piste sciistiche, di binario in binario, col tempo solo per un bacio.
Davvero avvincente e imprevedibile questo film, in cui la psicanalisi è romanzata piacevolmente al servizio di un giallo che è solido come l'oro, e in cui la forza dell'amore, in particolare quello femminile ("E' un po' presto per odiarmi", sublime), permette di percorrere se stessi, finanche nei sogni.
(depa)

1 commento:

  1. Un thriller psicologico (e romantico) della Madonna!
    Come al solito Hitchcock usa tutto il suo repertorio di gran classe per far tremare lo spettatore d’angoscia (e speranza) per tutta la durata della pellicola. La doppia dissolvenza incrociata sul primo bacio della coppia Peck – Bergman che apre le (prime) porte del cervello di lui è qualche cosa di meraviglioso. Luci e ombre a manetta, inquadrature ad arte su dettagli atti a far salire la tensione (il rasoio e il finale con la pistola, per dirne due) e anche un "triplo finale", che per la mia cultura (o ignoranza) cinematografica avevo conosciuto con (il più recente) Kim Ki-Duk, rendono l’ultima mezz’ora del film un brivido e una sorpresa continua. Ma no! Ma allora!? E invece no, cazzo, è così! E invece “lo conoscevo, lo conoscevo, lo conoscevo…” Nooooooooo! Maddai!?! Ma figurati?!?
    Ad oggi, dopo averlo rivisto per la seconda volta, rimane il mio preferito del “signore del brivido”.

    Ps: stupido momento di giubilo, ieri sera, in sala Ninna per la paura del protagonisa... delle righe… :)
    Pps: momento di giubilo solo un pochino meno stupido la prima volta, circa un anno fa, in sala Ninna, quando la Bergman chiede a Gregory Peck:"Cosa sei andato a fare a Roma?" e io e Marta, in coro: "Vacanze romane, no?"

    Vabbè... scusate... :)

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