Cinerofum sempre più spesso rigonfio di potentissime emozioni, si rischia l'infarto a vedere un cinema così: "Le onde del destino", del danese Lars Von Trier, è un film del 1996 che fa tremare le pareti del cuore. Una regia che accarezza e colpisce, una sceneggiatura che sprizza amore puro al 101%, interpreti eccezionali: questo film sull'Amore, sulla Follia e sul loro stretto legame è, non ho paura a dirlo, un film straordinariamente bello e...devastante.
Lars Von Trier continua a entusiasmare le mie corde (saranno ingenue, deboli), facendomi emozionare sino alla commozione più estrema.
Apre uno squarcio nella mia idea di film romantico, che mi disarma.
Il film è suddiviso in capitoli (come in Dogville). Mossa che suggerisce il fatto che il regista sia consapevole della forza del proprio cinema; gli stupendi "acquerelli" con cui intermezza i capitoli lasciano a bocca aperta e a orecchie spalancate (essendo accompagnati da classici anni '70 che comunicano, in maniera precisa, il tipo di turbolenza o di quiete che investirà il racconto), salvando la vita dello spettarore che può sospendere, per qualche attimo, l'apnea.
I primi 45 minuti circa sono impressionanti: Bess è una creatura che ama più di chiunque altro; poco importa che abbia qualche rotella fuori posto; probabilmente capiterebbe a tutti noi, se avessimo un'idea così totalizzante di AMORE SENZA SE e SENZA MA. Da quando l'amato è colpito, il film percorre spirali meno distanti, sinusoidi meno ampie, ma si parla di centimetri. Da quel momento i due innamorati non hanno più i prati verdi delle scogliere scozzesi su cui volare, ma hanno ancora quelli rossi dell'Amore Profondo su cui tenersi per mano.
Lars Von Trier può anche mostrarci una "banale" scena in cui è rievocato il ricordo del marito (e fratello...) scomparso: incredibilmente il tutto è annegato in un'immensa vasca traboccante densa poesia (bravissima la britannica Katrin Cartlidge). Non una frase che sgocciola, non un'espressione che stride, senza parole. Dopo 20 minuti sono già ai ferri corti col mio cuore, che decide di diventare il protagonista di tutta questa visione di 2h e 40'. Lars Von Trier vuole tutta la posta in palio e ci mostra scene di dolcezza infinita, fotografie di un nord che tutto avvolge, moti passionali che tutto travolgerebbero. Quei moti che viaggiano paralleli, per non dire ortogonali, con quelli religiosi, anchilosi ed artificiosi per costruzione. Per me.
La scena di Bess che guarda l'amato Ian partire sull'elicottero, l'urlo disperato e la folle corso per riunirlo a sé: unica, indimenticabile, non strappa lacrime, strappa tutto.
Emily Watson insuperabile. Arriva, al suo esordio!, dritta dritta nell'Olimpo delle grandi. Non c'è nulla di esagerato nella sua innamorata interpretazione (splendidi i dialoghi con Dio-sé). C'è solo una sconosciuta prova d'amore. Chi non lo capisce, è solo perché alla domanda - "Perché non ci mettiamo le nostre?", risponderà sempre, milioni di volte, senza nemmeno pensarci, per incapacità o per paura: "NO".
(depa)
L'abbiamo rivisto ieri sera e, dopo quasi tredici anni, non lascia meno impressionati. Anche dalla prova dello svedese Stellan Skarsgård. E della Cinepresa.
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