Qualche giorno fa, in sala Uander, io e quello scamarcio di Mr. Brown abbiamo guardato un film il cui titolo rieccheggia da trent'anni nelle bocche dei villeggianti che partono per passare un bel fine-settimana in compagnia, nella natura. Il regista inglese John Boorman, nel 1972, decise di tradurre in cinema un libro che James Dickey scrisse due anni prima ("Dove porta il fiume"); il risultato è questo suo quinto lavoro: "Un tranquillo week end di paura".
Comprendere le ragioni per cui questo film sia diventato così celebre è un esercizio a volte facile, a volte impossibile...
Comprendere le ragioni per cui questo film sia diventato così celebre è un esercizio a volte facile, a volte impossibile...
Facile perché il titolo italiano porge il fianco a citazioni continue; facile perché un film del '72 in cui viene mostrato, con nonchalance, uno stupro omosessuale non era cosa poco o, quantomeno, non da Waner Bros (anche se il produttore è lo stesso Boorman); facile perché si è sempre di fronte ad un film d'avventura, non un "Gertrud", con un buon ritmo, sebbene mai mantenuto a lungo. In questo ricorda proprio l'andamento del torrente che conduce i protagonisti nel centinaio di minuti della pellicola: a tratti le rapide fanno temere il peggio; lo spettatore, tra ansia e paura, prega (il suo carattere, però, spiccatamente masochista, gli sussurra che in realtà vorrebbe il contrario...) che si arrivi ad una zona calma, con acque stagnanti ma meno ostili.
Impossibile perché, per quanto uno si soffermi a riflettere sugli aspetti (pochi) di questo film, per quanto scavi freneticamente, come un cane dimentico del punto esatto della 'X' sopra l'osso, costui non riuscirà a scovare punti di forza tali da, non dico scendere per strada e gridare al miracolo, ma nemmeno da inviare una mail a un amico (che gli sta pure antipatico).
Detto ciò, la scena del benjo è carina, ma non può essere il muro portante; la scena in cui Ed scala la rupe è emozionante, soprattutto poiché è realmente difficile prevedere le mosse del regista (dopo la scena "clou", poi, tutti gli schemi sembrano saltati), però il tempo passa e la verità viene a galla...non succede più nulla.
Finale tra i più frettolosi che io abbia visto: ok, il fulcro del racconto non è come si metteranno le cose, ma è come sono andate, cos'è successo in quella gola da incubo; ok, c'è la contrapposizione civiltà-natura...vabbè, il tutto mi pare molto ad "alto livello", purtroppo non qualitativamente.
Questo Boorman sa girare film in cui la tensione è una delle componenti principali, non c'è dubbio. Giuro che mi guarderò i suoi primi quattro lavori, perché la sensazione che possano riserbare emozioni c'è. Anche perché vorrei capire se la mossa del "fotogramma nascosto" è proprio un marchio di fabbrica: quando il primo dei protagonisti si butta dalla canoa (o viene colpito da un colpo di fucile?); quando Ed, in cima alla rupe, sta per essere ucciso da un tizio (direi proprio che NON è uno dei due "montagnardi" maniaci) trafitto da una freccia (quindi? Che diamine è successo?).
Insomma, l'errore di pensare che sia tutto chiaro solo perché lo è a se stessi...è abbastanza imperdonabile in un film thriller; così come lo sono quei punti in cui, come già detto, il regista, presumibilmente, decide di creare pause che diano respiro, ma che in realtà suscitano sbadigli.
E poi dai...almeno una frase indimenticabile! (qui tocca accontentarsi di un'avvilente "Sembra una scrofa!")
E poi dai...almeno una frase indimenticabile! (qui tocca accontentarsi di un'avvilente "Sembra una scrofa!")
(depa)
ps: per me Ed cala il corpo dalla rupe solo perché faccia da contrappeso...
Ma dai!! E poi Burt Reynolds che sembra il più beccio del mondo, parte che sembra Rambo, fa surf sulle rocce, fulmina il maniaco con l'arco...e poi? Poi si stampa contro uno scoglietto e si mette il dito in bocca, con la lacrimuccia...baahhhh
RispondiElimina