Ciao Cinerofum, scriverò due righe a proposito di un film del regista dei turbamenti dell'animo umano: Michelangelo Antonioni. Nel 1975, chiamò Jack Nicholson e girò un film lento e difficile ma profondo, come un'operazione chirurgica, che va a scavare dentro per mostrare quanto vuoto possa starci. "Professione: reporter".
Michelangelo Antonioni conduce la telecamera come manovrasse un macchina da cucito, tratteggiando sullo schermo pizzi cinematografici che comunicano un senso di perfezione. Può far tutte e farlo esatto. Quando David Locke rimane insabbiato col suo fuoristrada di fronte a lui, ormai troppe volte ignorato, c'è un muro senza nulla, cielo e deserto si fondono in un'unica, polverosa, impossibiltà. In quei momenti, quando, altro che sabbia!, sotto di noi non c'è più nulla, se si vede una liana la si agguanta, e dopo questa un'altra, un'altra ancora. Si agisce finalmente, ma è solo l'inizio di una lunga, inesorabile, fuga. A furia di fuggire si arriva alla fine del mondo e si cade, si va giù (si muore). Però c'è un però: dalle ceneri sale une nebulosa di libertà, di vero, di vissuto. Questo splendido ed intenso viaggio (la sparo: io direi un "road movie" alla Antonioni) scombussola, ma deve essere percorso almeno una volta. Intendo dire che il film è da vedere.
(depa)
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