Venerdì scorso, in sala Uander, si è assistito all'iniziale gattonare libero, alle prime mosse autonome nello spazio cinema del regista newyorkese Stanley Kubrick; nel 1955, posata la macchina fotografica e dimenticato il "maldestro tentativo serio" di "Paura e desiderio" (da lui fatto sparire?), realizzò "Il bacio dell'assassino", film di poco più di un'ora di pellicola, in cui sono ben visibili le prime tracce dell'inconfondibile stile asciutto, geometrico e robusto del grande regista.
Trama semplice, dal canovaccio che sembra prendere strada in fieri, senza troppo studio dell'intreccio, ma quasi a sottolinearne l'inutilità dato che tutto può degenerare solo per il fatto che i due protagonisti escano di casa allo stesso istante. Kubrick sembra stare a guardare l'evolversi della storia concentrandosi piuttosto nel suo corteggiamento, primi sguardi, primme carezze, della m.d.p.; dico sembra, perché la struttura a flashback nasconde invece, un'attenta stesura della trama; novellino o no, giovincello della Settima, la sua gavetta con la fotografia esonda potente sullo schermo. E quindi...New York in un bellissimo bianco e nero, con street americane schiacciate da palazzoni che stanno a guardare, ormai assuefatti, i quotidiani crimini (una spruzzatina di "M" di Lang, così come l'inseguimento finale sui tetti); innvovativa e affascinante ripresa dell'incontro di boxe, con stupende soggettive, inquadrature azzeccate e ritmo elevato; lo scontro finale tra i manichini è il sintomo di quell'attenzione per i particolari che diventano simboli, oggetti che diventano la scenografia tutta, estetica kubrickiana.
Attori bravi, la bella protagonista femminile si porta appresso uno strano, fastidioso, sorriso...ma alla fine il bacio del titolo è il suo o no?
Da vedere senza cercarvi il capolavoro ma un'introduzione ai successivi.
(depa)
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