Extra: almeno i Talking Heads

Stasera, io ed Elena, siamo andati a vedere un altro "italiano" al cinema. Paolo Sorrentino, Napoli classe 1970, mi ricorda quanto stavo bene quando ai film italiani contemporanei non mi avvicinavo nemmeno e, per questo, lo ringrazio; inoltre, senza volerlo, mi ha regalato emozioni uniche nel sentire i, da poco ma intensamente approfonditi, Talking Heads con un pezzo su cui è impossibile non liberare il piedino all'oscillazione più appagante: “This must be the place”, 1977. Ah, quasi dimenticavo, quest'accozzaglia di siparietti assortiti ma non amalgamati è un film che ha lo stesso titolo e 34 anni di meno.
Questo film è puro berlusconismo cinematografico; dopo quel volpone di Malick (ma che dalla sua, almeno, ha un percorso, almeno anagraficamente, più marcato), il cinema contemporaneo chiama all'adunata generale, fatta di buonismi divenuti immagine, di ingenua fotografia da National Geographic (ma senza quella forza che solo una vera leonessa ha), di cinema vuoto che un po' vuol fare intenerire i giovanotti che han voglia di parlare di film facili in corso Vittorio Emanuele il sabato pomeriggio, e un po' vuole far sorridere i vecchietti  che ricordano gli esilaranti momenti degli anni trascorsi.
Sembra di girare per corso Buenos Aires, anzi magari!, quella potrebbe fornire neorealismi al primo che li sappia cogliere; invece, questo non-film prova a sedurre mettendosi scarpe costose di marca, dimostrando di avere uno stipendio da manager e ostentando un umorismo da Gialappa's Band.
Pure Sean Penn non può nulla; imbarazzato realmente, forse, dalla vuotezza di cotale sceneggiatura e dalla sterilità di un tale girare (che NON è irritante per lentezza ma per ingenuità e arroganza).
I Coen, per esempio, sanno riprendere in maniera più ricercata e..."romantica". Le loro belle fotografie (in Sorrentino, palazzine allineate, cimiteri gemoterici, simmetrie da quattro soldi) hanno la profondità della storia che narrano; dove non c'è stato un, comunque quasi, impercettibile simbolismo, c'è stata la struttura dell'opera solida, completa, in cui anche ogni parola s'incastra a meraviglia nella costellazione dialogica del film. In questo del regista partenopeo, ahimé, pare di leggere uno sgangherato libretto di aforismi. Non v'è profondità nei personaggi; film da videoteca di basso livello che si permette (anche qui come già altri, è di moda) di pronunciare la parola olocausto e sfruttarla in una delle forme più bieche che ricordi.
Se la direzione è questa, quella tracciata dalle mosche di Tornatore, seguite a spron battuto (visti i successi, no?) dai mufloni di Sorrentino, allora, quasi quasi, “This must be the place” lontano da una sala con un film italiano d'oggi.
(depa)

3 commenti:

  1. Rivedrò con più attenzione il film, perché hai massacrato non solo il regista ma certe mie valutazioni sul cinema. Su una cosa però sono fin da subito d'accordo:
    lo sfascio culturale ha prodotto in tanti di noi l'assefuazone. Diciamo "bello"
    ciò che non ci saremmo mai sognati di dire solo una decina d'anni fa.
    Ovviamente il rimbambimento non marcia solo sul piano cinematografico...
    (roby)

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  3. E' riprovevole come il film danzi pericolosamente sul filo (alto 20cm) tra realismo e surrealismo, a Km dagli estremi. Proprio nel mezzo, dove la corda e' lasca, lisa, niente da fare.
    E' come vedere un marine che tutto agghindato, carico di determinazione e armi, si glorificasse di essere giunto al traguardo facendo sosta in un McDrive prima e, presso una scolaretta che vende limonate fresche fuori dal proprio giardinettino, dopo.
    Sul pianeta ancora non erano comparsi i vertebrati.

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