Sarà difficile dimenticare questo maggio di 'Rofum-19. Cinema per nulla isolato: una passione non si arresta. Nella reattiva (...) sala Valéry, sabato scorso, eravamo in quattro a chiacchierare con Claude Chabrol: le due Elene, Mino ed Io. Schivato un giocattolo italiano, non il vino uguale, il cursore s'è posato sul suo "La tigre ama la carne fresca", del 1964. Spy story dalla veste non convenzionale, cavalcante la "Nouvelle Vague", ma col topico cipiglio di un seducente supereroe di polizia. Trova sorprendentemente il ritmo in sé.
Anticonforme ma fedele, un elegante quanto disinvolto tributo al cinema classico (007, scene all'Opéra). Trame che non hanno trovato alcun wiki-disposto, per capirci. Che poi si capisce, nessun nodo inestricabile. Evviva li turchi! Mamma li Chabrol! Francia e Turchia, come oggi, nemici-amicissimi! "Tutta roba di scarto. Non c'è più religione". Chabrol pare voler raccattare dal rumoroso cinema poliziesco i brandelli spazzatura e donar loro nuovo "pulito e luminoso"! Senza troppi vezzi, ce la fa. Attimi da Bud Spencer ("Nell'ascensore" non si può vedere), sberle su oche da drink (?!) che occupano la loro postazione, machismo senza macchie, poi parole che s'insinuano dietro le immagini, come fa il nano dietro al ministro turco (una delle sequenze più suggestive, assieme alle urla disperate dell'ultima).
Da provare. Anche se preferisco l'altro Chabrol, che poi è lo stesso.
(depa)
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