Più di un mese fa, in pieno lockdown (che ora è come la torta di riso...), dalla Sala Valéry è passato Roberto Rossellini. Sotto forma di blue-ray, con l'ombra di Mino dietro, il regista romano ci ha raccontato di una relazione logora, assediata da silenzi assordanti e raggelata da freddure insinuanti. "Viaggio in Italia", del 1954, è ghiaccio doloroso, che nessun turbamento potrà riscaldare.
Versione restaurata da Cinecittà nel 1995, rappresenta il terzo capitolo della "Trilogia della solitudine". Incipit silenzioso, nei rumori di paese. Assenza sinistra, rimane la distanza nella coppia. Amarezza palpabile, tra Alex e Katherine Joyce. E' lei che guida. Gente del Nord. Moderna. Sotto l'altera eleganza, vi sarà pur un focolare. No. Lei insegue. Isteria covata. Un'angoscia che sale, monta coi pancioni delle incinte. La mente si smarrisce nella purezza dell'arte, sbanda nella crudeltà della natura. La guida nel museo, i suoi originali commenti! Movimenti macchina spigliati, lungo gli spazi, oltre gli oggetti. Spazi che contano, distanze insormontabili. Che pena vedere la Bergman, fuori dai giochi, raccogliere le carte! Sposi muti d'orgoglio, sperduti in spirali. "Abbiamo fatto una bella scoperta": alla foce di tutti i torrenti, il vuoto tra loro. Lo sgomento di lei non arginabile da alcun motto di spirito. "Andiamo al bar". La "sua" Ingrid Bergman, fascio di nervi e bellezza, e George Sanders, impostato come dietro il set, compongono una statuaria e indimenticabile coppia del Nord. Pellicola intensissima, sintesi agghiacciante sulle infantili dinamiche matrimoniali.
Nell'"Extra", il figlio del regista, Renzo, masticante un amaro fisso, ipotizza che fu il primo film a trattare "bene" il tema della crisi di coppia. Cassato dal pubblico nazionale (dieci in sala), riscoperto dai "Cahiers du Cinéma" di Bazin, oltre ad un'accorata e preziosa carrellata sulle bellezze storiche e artistiche del napoletano, parla anche della perturbante collisione tra la cultura anglosassone e quella latina.
(depa)
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