"Psycho", del 1960. Il 'Rofum giunge a questa gloriosa tappa del viale tracciato da Alfred Hitchcock. In sala Valéry regna il rispetto. Elena non chatta. Io non. Apice dell'introspezione cinematografica del regista londinese, psicologia e ritmo cardiaco, ombre e movimenti. L'ultimo film in bianco e nero di Hitch diventa il manifesto di tutte le sue molteplici sfumature.
Phoenix, 11 dicembre 1959 (anno dell'omonimo bestseller di Robert Bloch, 1917-1994). Tra grattacieli, la libertà è un raptus. Inizia così, o quasi, questo fantastico racconto, dove i musi, dietro i rayban dei policeman, ti guardano l'anima. Tassidermisti, tipi estremamente sinistri. La determinante carica erotica, la molla voyeuristica che ritorna ancora una volta. 40.000-700=39.300. E fin lì. La celebre sequenza col soffione-doccia che dissolve nello scarico-occhio ("strepitosa!", "Da scuola del cinema!" Tutto vero). Trasuda la cura filmica raggiunta dal regista. Come se in quel vortice di sguardo (morto) confluisse la sensibilità estetica maturata, per poi ricircolare nel sempre elegante scorrere d'immagini. Esperto artigiano del mezzo cinematografico, in "Psycho" più sofisticato che altrove. Con un bianco e nero fulminante: piastrelle, paludi a fil d'acqua. Inquadrature che son zuccheri. "Ma se quella donna è la madre, chi è sepolto?". Geniali giochi di prestigio si succedono, qualche slealtà che semmai picca (il sonoro...). Ma ancor meno da ridere, stavolta. Un horror della cinematografia Metà Novecento. Un classico da videoteca. In biblioteca. Con tanto di perizia psichiatrica.
Bene, terminato anche questo cofanetto ("Universal" nero). Il 'Rofum ha la sua confidenza con questo pilastro dell'arte cinematografica. Prova ne sia il numero di volte che Sir Hitch è passato, in sala Valéry, a far sorridere e tremare. Non resta che seguirlo, ora, nel suo Oceano Pacifico, alla ricerca d'altre preziose perle. Thank You, Sir. Quarantena indimenticabile (...).
(depa)
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