Vita on the shelf

Ieri sera quarto e ultimo appuntamento con la rassegna "Il culto della scienza, il sacrificio dell'umano", dedicata a transumanesimo, disumanizzazione e altri frutti dei tanto salvifici progressi tecno-scientifici. "Dal fantascientifico torniamo sulla terra", come anticipato, e lo facciamo con una commedia vivace e acuta. Scritto e diretto dalla statunitense classe 1972 Tamara Jenkins, qui al sesto lavoro, "Private life" (2018) spinge a una fragorosa quanto amara risata che, perdindirindina, questa volta CI seppellirà.
Distribuito sui teleschermi da Netflix, così come tutti gli altri della rassegna tranne il primo agone video cronemberghiano, il film intavola i discorsi giusti, coi dialoghi pensati. Temi che dall'ambito particolare della fecondazione vanno a coprire tutti gli altri. Essendo unica la volontà di potenza di chi deve avere a tutti i costi. C'è tutta l'industria della procreazione, col marketing affabulante e invasivo, con siti e app ad abbattere ogni inibizione. Ciò che un secondo prima ci pare abominevole, quello successivo risulta, se non gradevole, già accattivante, a breve fico! Con una veste così!
Ottimi interpreti. La coppia Paul Giamatti - Kathryn Hahn, col primo che suscita il riso solo a guardarlo, la seconda sorta di Lewis-Joplin coi nervi a fiori di pelle, sono abili nel restituire la nevrotica incapacità di riappropriarsi delle esistenze. In questo film c'è ben poco di inverosimile. Tutto vero, basta osservar bene le statistiche di queste pratiche (e del conseguente consumo di psicoveleni).
Società dei compartimenti stagni. Quella che li costruisce e favorisce. L'amica di famiglia coglie l'insofferenza dinanzi alle ossessioni dei coniugi frustrati. Ma non la propria: strafatta di consumismo, minuscola donnucola intossicata dal salmone e dal nomi di chi lo vende (crollerà in lacrime dinanzi ad un pelo rivelatore). Sua figlia ne sarà la degna erede, pronta a cogliere ciò che è cool o trash, ma inadatta a vivere. Diverremo una specie animale in grado di sedere sulle gambe incrociate in fastfood, di tenere contenitori per bevande bollenti, sempre alla ricerca di una ragazza coi capelli crespi con cui dondolare e sorridere a 34 denti (?). Perdita dell'umano, sacrificato in ogni caso.
I sei al "Grimaldello" se la ridono molto. Alfine, dopo il bel finale, mungiuano (?), coi poveri protagonisti in attesa del perenne Godot, tutti cupamente soddisfatti, consapevolmente divertiti.
(depa)

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