Era pomeriggio quando, nella solitaria "Valéry", m'imbattei nel regista bessarabo Lewis Milestone, all'anagrafe Leib Milstein (1895-1980). Due Oscar a cavallo del 1930. L'occasione è stata "Okinawa", un robusto film di guerra del 1951, ottimamente girato, che, pur sotto una sottile polvere "pacifista", non smette però di edificare la gloriosa retorica militare del micidiale esercito americano. Da questo punto di vista, intrinseco e non condannabile, oggi è fuori tempo massimissimo.
In "Techincolor", già si parte alla carica di "Halls of Montezuma", the Marines' Hymn che dà il titolo originale. Inno anche "suo", di Milestone, arruolato e naturalizzato. Su "RaiMovie" si srotola l'altisonante discorso delle forze imperialiste occidentali: "Soprattutto per difesa di tutto ciò in cui crediamo noi, la nostra gente" etc. etc.
"Attenzione, attenzione...ancora una volta sbarcheremo su un'isola nemica". Ok. "Basta giapponesi morti, ma vivi", well, "perché possono parlare". "Credetemi, questo sbarco è necessario, ci vediamo a terra". Le crediamo, ti crediamo.
Chi ha più paura, reagirà con maggior furia. Le presentazioni si susseguono. Il valoroso sergente semplice Slatter, "ubriacone e lavativo". Il glaciale tenente-chimico Anderson incarna la guida spirituale della banda criminale (grande interpretazione di Richard Widmark, 194-2008). Il contadino con la mente alla fattoria (ottimo anche il "Doc" di Karl Malden: "Non c'è dubbio di coscienza nel mungere il latte"). Il riflessivo Lane (Jack Palance), col suo dramma personale col collerico Pretty Boy. Conroy il tartagliante afroamericano che brucia di terrore (Richard Hylton, classe 1920, fragile davvero, si ucciderà 10 anni dopo il film).
Taglio classico, quindi, con ogni personaggio al suo posto. Il timido, il timoroso, il beone e l'invasato. Passaggi attenti, stacchi calibrati, dialoghi ben curati. La foggia è chiara. Cingolati anfibi, sontuose scene di grande effetto (con filmati di repertorio, direi), intervallati da ricordi e riflessioni. Il soldato USA si chiederà, inetto ingenuo, "perché ce l'hanno tanto con noi?". Ne prendiamo atto. Ma quello stesso ci racconterà di un passato (e presente) fatto di inquietudine e insoddisfazione (padre ubriaco al bar e madre incapace). "Gli ho regalato altri sei mesi di questa vita! E a che scopo?!". Trascurabili incrinature. "Non si può insegnare ad uccidere uomini e poi a non ucciderli!". Lapalissiano. "Tenete gli occhi aperti!". Eh, magari, direbbe lo sventurato Zelenko.
Nonostante i mezzi, glissa con elegante pudore sulle ferite mortali dei membri della squadra (4 morti e 1 cieco). "La guerra è cosa indegna per gli esseri umani", parole di prete, "e soprattutto noi siamo dalla parte dei buoni", parole di soldato. "Prepararsi, manca un minuto!". Difatti, all'assalto finale, al ritmo del bombardamento aereo, i volti saranno gaudenti e ottusi. Come in una marcia, marcia militare.
(depa)
"Attenzione, attenzione...ancora una volta sbarcheremo su un'isola nemica". Ok. "Basta giapponesi morti, ma vivi", well, "perché possono parlare". "Credetemi, questo sbarco è necessario, ci vediamo a terra". Le crediamo, ti crediamo.
Chi ha più paura, reagirà con maggior furia. Le presentazioni si susseguono. Il valoroso sergente semplice Slatter, "ubriacone e lavativo". Il glaciale tenente-chimico Anderson incarna la guida spirituale della banda criminale (grande interpretazione di Richard Widmark, 194-2008). Il contadino con la mente alla fattoria (ottimo anche il "Doc" di Karl Malden: "Non c'è dubbio di coscienza nel mungere il latte"). Il riflessivo Lane (Jack Palance), col suo dramma personale col collerico Pretty Boy. Conroy il tartagliante afroamericano che brucia di terrore (Richard Hylton, classe 1920, fragile davvero, si ucciderà 10 anni dopo il film).
Taglio classico, quindi, con ogni personaggio al suo posto. Il timido, il timoroso, il beone e l'invasato. Passaggi attenti, stacchi calibrati, dialoghi ben curati. La foggia è chiara. Cingolati anfibi, sontuose scene di grande effetto (con filmati di repertorio, direi), intervallati da ricordi e riflessioni. Il soldato USA si chiederà, inetto ingenuo, "perché ce l'hanno tanto con noi?". Ne prendiamo atto. Ma quello stesso ci racconterà di un passato (e presente) fatto di inquietudine e insoddisfazione (padre ubriaco al bar e madre incapace). "Gli ho regalato altri sei mesi di questa vita! E a che scopo?!". Trascurabili incrinature. "Non si può insegnare ad uccidere uomini e poi a non ucciderli!". Lapalissiano. "Tenete gli occhi aperti!". Eh, magari, direbbe lo sventurato Zelenko.
Nonostante i mezzi, glissa con elegante pudore sulle ferite mortali dei membri della squadra (4 morti e 1 cieco). "La guerra è cosa indegna per gli esseri umani", parole di prete, "e soprattutto noi siamo dalla parte dei buoni", parole di soldato. "Prepararsi, manca un minuto!". Difatti, all'assalto finale, al ritmo del bombardamento aereo, i volti saranno gaudenti e ottusi. Come in una marcia, marcia militare.
(depa)
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