Ieri pomeriggio, invece, è tornato al Cinerofum Nicholas Ray (1911-1979). Tornato il cinema classico. Il regista statunitense, tutto ringalluzzito dalla nuova "Valéry", ha voluto rientrare con una delle sue opere più celebri, "Gioventù bruciata" (t.o. "Rebel without a cause", t.f. "La fureur de vivre"), del 1955. Rabbia infiammabile, in potenze ed effetti, la turba giovanile; crescendo disperato, incarnato alla grande dal James Dean maledetto. Il fuoco è tutt'attorno.
In "Technicolor" ("WarnerScope"), si apre su Jimmy Stark messo male. Bagordi violenti. E via con la trafila. Alla centrale di polizia, venerdì sera, pare di essere dall'assistente per minori. Piccoli drammi. Che sono scintille. La psicologia ufficiale e d'ufficio incastona e butta sotto il tappeto (manco l'ho scritto, che un altro tirapiedi invoca la psichiatria: il titolo originale viene da uno studio in quel campo). Rabbia, rabbia dentro. Da riversare su tavoli. E' un SerT. "Come si fa a vivere in questa baraonda?!". Jimmy sembra pentito. Di che?
Pellicola contro il Matriarcato (?). Che vuole bulli i belli, beline le belle (ma "bisognose d'affetto!"). Dice Rohmer: "...un po’ infastidito, sul momento, da una certa mancanza di pudore, una certa debolezza, direi anzi, addirittura stupidità, nei personaggi. Sono così, è il dramma che lo esige". Chi siamo noi per . ?
L'ordine irrompe in ogni afflato. Incomunicabilità generazionale al parossismo. Che è un punto reale. "Periodo critico per i ragazzi!" ("E' l'età atomica!" sibilla il solito innocente).
Ma Ray e collaboratori hanno lavorato ben bene. Pellicola che indugia sul respiro adolescenziale, per poi, come naturale, invadere il grande campo. Indiscutibilmente Dean diede corpo (viso) e, soprattutto, carattere (abisso), ad un personaggio che affascina per complessità, inquietudine, rottura (qualche grido). "E' sangue".
"E' difficile. Bisogna conoscerlo bene", Jimmy. Riflessioni esistenziali puntellate da sequenze ad alto tasso di drammaticità (spettacolo). I coltelli, i conigli, poi vabbè...il planetario. Il suo "tratto distintivo: uso drammatico dell'architettura". Toni lirici (col metodo russo, in giacca rossa, che cannoneggia), epici duelli, "per rompere la monotonia, no?". BOOM! [Ma a chi interessa la morte di Buzz?]
Da tutto in una notte, dopo il fattaccio il tempo accelera. Una geniale dedica dall'oltretomba e le inquadrature di Ray tratteggiano le devianze, più che distorsioni, di Jimmy. "Mi hanno chiamato coniglio, ho dovuto!". Altri tratti di scolastica, stavolta dallo scolaro.
Jimmy è l'unico normale.
"Si tratta di noi stessi!...Perché SONO implicato, siamo tutti implicati!". De André farà capolino. L'ipocrisia civile s'arrocca nel baluardo della Famiglia. "Stupide scuse inventate". Ritratterà, inspiegabilmente solo per me, per il caso del povero, povero Plato, distrutto, a terra (PAZZA IDEA!). Lo stesso Ray lo definì un film sulla famiglia.
La supplica è una splendida diagonale. Dire che "si occupa di delinquenza giovanile", mi pare riduttivo. La pellicola ingrossa con lo sgomento di Jimmy e la musica rombante, a narrare il crollo di una noia mortale. "Certo, il discorso è un po’ appesantito da un eccesso di psicanalisi ingenua" (a Rohmer il lavoro sporco), ma il didascalico si frantuma contro la realtà.
"Queste persone ti vogliono bene!". Uhm, sì. Pure un ragazzino terrorizzato non può esimersi dal chiedergli di smetterla ("...quelli non sono miei amici"). Via, un altro morto su cui passare. "The End".
Avete letto? Parte in sordina, e ti ritrovi frastornato. Buon segno.
(depa)
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