Tortura per tutti!

Leggi "francese" e vai, leggi "polar" e vai, non fosse che per ricordarsi che diamine significhi, poi leggi le iperboliche di mymuvis (ciò che più si trascende, qui, è l'interesse dello spettatore) e allora vai quasi sicuro. E' quel "quasi" che frega. Come ieri, con "Roubaix, une lumière". Il dodicesimo del francese classe 1960 Arnaud Desplechin, che ci permette di fare la sua conoscenza, ha un titolo meraviglioso, è un film sprecato.
"Oh Merci", già nei titoli di testa il regista mette le mani avanti. E sì che l'elegante incipit, tra dissolvenze luminose, roghi alti e rughe profonde, annuncia la qualità della fulminea visione che sarà. Intro che prova a protendere l'atmosfera sospesa, regalando gli alti momenti, gli unici, della pellicola. Sinché dura.
Taglio classico che colpisce per purezza e solidità, girone infernale sotto lo sguardo vigile delle forze dell'ordine ("Non devi risolvere casi, devi mantenere l'ordine"). "Fate mai qualcosa per la miseria?". "No".
Urka, urka, ahia, ahia. Dopo sì luminosa bellezza, la spia della benzina alfine lampeggia (mi giro e non vedo Elena: lei è ferma proprio). Eppur si muove (la sala 2 del "City"è in discesa). "Supplizio" dice. E non è un buon segno. Dopo mezz'ora di interrogatorio, logorante per tutti, protagonisti e pubblico, mi chiedo che senso abbia tale "accanimento" (non verso i fermati, ma di noi!). Elena stravolta, "Perché tutto ciò?". Le dico che ho appena appuntato la stessa cosa, o quasi. "Non far così, ora vediamo". Testardo, sapete. "Ce ne andiamo?". "Mai".
Indagini, denunce, siamo sempre al commissariato, facendo conoscenza della fedele clientela, o a bussare a porte periferiche, a rincorrere scarti. Galleria degli orrori, in cui io metto tutto, il regista non so. Parrebbe dura per la police d'Oltralpe, se non fosse tutta farina dal loro sacco: la bratta prodotta e gestita dalle logiche d'autorità, controllo e repressione a loro intrinseche. E tutte quelle a contorno. Quella splentente e democratica, che fa dire "fate piano" ad un parente-carceriere ai colleghi che stanno vessando il parente-detenuto, o che fa accendere luci e sirene nel garage: quella della spettacolarizzazione.
Un film che più ci pensi, più pecca. Peccato, peccato. Ancor più per la madornale miopia del personaggio interpretato dall'ottimo attore, César premiato, Roschdy Zem. Un immigrato che ripercorre i luoghi della sua infanzia (gli stessi del regista) può ancora incappare nella logora narrazione delle forze di polizia che operano a difesa dei deboli?
Alla fine, Elena ammonita ufficialmente (ma il giudice cinefilo stabilirà se annullare il provvedimento).
Un omicidio dei tanti, nati così. Mais le trop c'est trop, aussi pour les chevaux.
(depa)

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