Altri campi solitari

Sempre un piacere. Rincontrare Takeshi Kitano. Parlo per me, Elena ancora mal digerisce l'intensa lentezza del laconico regista giapponese. DVD volanti portano nella "Valéry" uno dei suoi più celebri film. "L'estate di Kikujiro", del 1999, prosegue lungo il sentiero dei fiori in fiamme, laddove solitudini e distanze riescono, appunto, a sfiorarsi.
Si parte col rallenti su una base da "883" nipponici e a Kitano viene pure bene. Può farlo solo Lui. Come detto, rivedere il regista-attore meno loquace, è una soddisfazione di cinefilo, catapultato nella sua inconfondibile metrica. Masao è un bambino che, da buona scuola italiana ma non solo, si seguirebbe per ore. "Da oggi sei un vacanza, va a divertirti dove ti pare", nelle parole dell'insegnante una sottile e inconfessabile consapevolezza. La Scuola è l'opposto di ben 2 o 3 predicati di libertà. Il malinconico paffutello s'è trovato proprio una guida coi fiocchi (farà pure il cieco). Il burbero ex-yakuza dal cuore d'oro. Prepotente per un angioletto. Marchi di Kitano. Taglio lirico alternato a momenti di comicità popolare (slapstick fotografici). Quattro passi nel disagio, con gemme lungo il percorso (il cerchione dell'ennesima auto che riparte). Gli inquietanti incubi di bambino. "Piccoli" e "grandi" divisi da un abisso di sogni, di immaginazione (giusto in pellicola possono sguardarsi).
Mai stucchevole, vedere quanto era difficile!, schiva il trash delle sovraimpressioni e inserisce le suddette musichette tra i suoi lunghi, meravigliosi silenzi, col cipiglio dei Grandi Autori. Il fuoco di due anni prima era più acceso e puro, ma, al bizzarro di focolare itinerante di Masao, si sta oltre Il Piacere.
(depa)

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