Che faccio? Vado a recuperare quel malese nelle sale. Il film s'intitola "Abang e Adik" (s.i. "Come fratelli", 2023), scritto e diretto dal malese, già produttore, Jin Ong (classe 1975). Non sono stato il solo: prima sorpresa, davanti all'"Ariston" facce note per compagnia. Qualcuno fa notare che "Tristezza, radical chic al cinema...", dico che non si dovrebbe piangere, ma sbagliavo: questo "drammatico" dalla buona e ovvia fotografia, sbatte senza remore sull'asticella "strappalacrime" (difatti qualcuno...), inondando caratterizzazione dei personaggi e prove degli interpreti.
Dalla "Cinema Inutile" un film che se non lo è, ci va vicino. Nonostante l'accorato racconto degli ultimi di Kuala Lumpur, ripreso coi colori del Sud-Est asiatico che ti aspetti, e la buona interpretazione dei due protagonisti, su cui ovviamente svetta quella del sordomuto, di Jack Tan (classe 1991), la pellicola finisce per svelare il suo carattere. Qualcuno direbbe "mollo come la panissa", tutto teso ad implorare, nel 2024 sempre più ineguale, che si stia in riga, da bravi. Una società sempre più fondata su sfruttamento spinge ancora registi a rispondere alla Domanda: "Perché continuate a votarli?", con strigliate paterne e pacche amichevoli. Pure l'outsider, a sto punto "in" come tutti, Mamma "Money" fa notare che lui non può votare, eludendo così l'unico spunto affrontabile. Insomma, Noi questo riso lo mangiamo, palesando tutte le carenze di un'analisi che rimane sempre e soltanto: fa' il bravo, lavora e non rubare (chiudere sul fratello con lo sguardo oltre le sbarre, tra le preghiere echeggianti dai minareti?). Per quanto affetto si possa provare per gli sfortunati amici di questo struggente romanzo, resta il rammarico d'un cinema che ancora fatica a vederci e parlarne CHIARO.
(depa)
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