Al Trieste Film Festival dello scorso gennaio, in concorso l'intrigante lungometraggio "Pari", del 2020, dell'esordiente iraniano Siamak Etemadi. Produzione greca kai allos (?), accompagna lungo la ricerca di una madre, di un figlio, di sé. Della donna, dell'...uovo. Exarchia baretto da toccata e fuma. Resta l'ottima fotografia di lampioni e roghi di un esistente insopportabile.
Atene. Ambienti ostili e caratteri conseguenti ("Non conosco nessuno!"). Un'altra donna contro tutti, per Babak. Profughi siriani in Grecia. "Basta parlare d'onore!". Anime in vendita, dal primo impiego. Seguiamo la madre lungo l'indagine spogliante. Al centro del fuoco (OA-). E chi lo dice, "basta vino"?
"E' l'unico segno buono". Una dama nera attraversa le fiamme di Exarchia. "Il tuo occhio vede bello". Quindi l'ustionato a ridicolizzare (difatti Babak "è impazzito"). Tanto per cambiare, la follia dei "persi" s'aggira per le zone di conflitto. "Volevo stare solo con te" [ecco spiegato il successo si programmi Erasmus] "Una donna sola in un paese straniero".
A parte la parentesi tristemente folkloristica, il film è ben girato, con una fotografia notturna che colora la retina di neon gialli e petardoni. "Nel campo d'azione". Nello straniamento urbano, il regista di Teheran segue la protagonista, tigre in città. "Sì, un po' pazzo, ma non pazzo". Che truppa, ragazzi...Nella Babele la bestia ha mille braccia. Il Capitale avanza verso acque internazionali. Solo finale per restare vivi. Vada Pari, nel suo Oceano.
Pellicola volitiva, di desiderio umano. Rammarico, unire vita arte politica, invece stangentare e allontanarle. Superficiale; i soli luoghi illuminati, in "Pari" e per Pari (e non solo), restano "bui". Provate.
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento