La lotta per la valle

Una consolidata squadra di capaci artigiani italo-spagnoli permette di sfoderare film di maniera compatti e avvincenti. Come "L'uomo della valle maledetta", del 1964, melodramma di frontiera, amore apache impossibile, in una landa infestata di razzismo. Diretto da Omar Hopkins, Primo Zeglio sotto sotto.
La "PEA" che vogliamo presenta Ty Hardin e Irán Eory. Alabiso montatore dà una certa sicurezza. Luna di cartone per un'aggressione apache, colluttazione, resistenza fuga, cose da "Far West". Non c'è requie. Pellirosse incattiviti restituiscono l'odio. Ma un bel fusto è dietro la collina. Romanzo ottocentesco, dickensiano cowboys, il newyorkese Hardin (1930-2017), a costo dei suoi, salva corpi e anime.
Mea che soggetto che si studiarono (Eduardo M. Brochero). Con single, separati, figli sparsi, castelli saltati. In mezzo al becero razzismo ("sposare un indiano?!"), qualche lezione alla lavagna, con musiche perfette ad incorniciare amori e dolori (il capitolino Francesco De Masi, 1930-2005). Il regista pittore vercellese si diverte in pellicola, con inquadrature ricercate, guizzi di grandangolo (con la protezione di San Daniele al Montaggio da Roma). L'iraniana di origine austriaca, passando da Spagna e Messico, Eory (1937-2002), vi mette tutta la disperazione. Pur con questa aria ingenua, pervasa di morti e risse, pellicola che vince pei gran paesaggi, l'intrico dei cuori e il ritmo. Tre stelline!
(depa)

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