Vedere uno Chabrol ti ricorda di non dimenticare Chabrol. Con pochi autori mi capita di venir rapito come con Claude, concentrato nella sua arte mentre, con un buffetto, mi dice tontolone guarda qui. Prendi "Ucciderò un uomo" (t.o. "Que la bête meure"), del 1969, una scia d'asfalto bagnato e dolore coagulato, ripresa come goccia sulla pagina d'un diario. Vendetta; e tutto ciò che la circonda.
Grazie al ciclo "France mon amour" presentato da "Iris", è stato possibile succhiare dallo splendido incipit del maestro. Prodotto da un Génovès (André), il dentro le quinte d'un omicidio stradale colposo (con omissione di soccorso). Senso di colpa? No. Tutto il resto. Vendetta? "Forse mesi, un anno, o due...gli farò meritare la morte".
Chabrol esplora il dolore (memoria). "A meno che non ci si metta il caso: non bisogna sottovalutare il caso". Basta imboccare la strada chiusa, vietata, proibita.
Oeh, scacchi capolavoro! Darsi del "lei", "anche dopo..." ("Sì, è buffo"). Tutti a Quimper! [Argol] Nei salotti borghesi, dove la tensione è alta per un cognato "abbominevole". L'elogio dell'Iliade, le musiche cucite (Pierre Jansen, 1930-2015), il taglio dell'anatra! Morboso voyeurismo cronachistico, immerso nel cinico miele di Paul Gégauff, dandy seduttore della "Nouvelle", a sceneggiare e dialogare. "Se non ci fossimo incontrati troppo tardi, ti avrei amato". Un piacere seguire Chabrol seguire il cupo odio di Michel Duchaussoy; la luminosa ombrosità di Caroline Cellier, scomparsa ottantacinquenne il 15 dicembre scorso; la burbera grinta di Jean Yanne. Grandi interpreti a dar carne al corpo. "Mi annullerò" su Brahms, in una sontuosa tragedia cinematografica.
(depa)
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