"Mario Bava". Un nome e un cognome. "Mario Bava". Il regista sanremese che scrisse il suo capitolo nella storia dell'horror aleggia per la "Valéry". I "Culto", ché era indagine sacra scovare un nastro da cui leccare i terrifici colori d'un raffinato autore. Rimane il fascino dell'artigiano, remota figura, che, come in "6 donne per l'assassino", del 1964, seppe imprimere cinema di genere, a basso costo, elegante ed emozionante.
"Mario Bava". Un'eco di paura dalla cucina alla Sala. Altro pungolo prezioso, sempre di Simone, mette in moto una reazione. Titoli su fluide note, a presentare il museo di cera colorata, ad alto contrasto, dei protagonisti. "E già...". Fotografia di Ubaldo Terzano, "Mano" del regista con vita propria. L'onnipresente carpigiano Carlo Rustichelli alle musiche. Qualcosa di sinistro, sempre. "Haute couture", ne ha? Terrore esplicito, visibile e palpabile. La morte è fucsia e violenta.
Manichini e telefoni rossi, confort visivo istintivo, pronti allo shock. Coreografico, ad una composizione dell'immagine, pittoricamente ora barocco, ora pop, attraverso le ere artistiche: il crimine nella stanza d'ognitempo. Anche i "turchi", capeggiati da Melville e Godard, si mossero per l'innovativo Caposcuola. Irrompe il giallo tinta personale del regista. vi dico già che sarà un lungo viaggio.
"Mario Bava".
(depa)
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