In questi giorni nelle sale, che non perdiamo di vista, una pellicola romantica nella delicata dimensione LGBT. Cinematografia desiderosa di raccontarsi, "Estranei" di Andrew Haigh, già incontrato in un weekend del 2016, ribadisce difficoltà e superamenti di un amore ancora troppo impossibile nell'attuale Società delle Fobie. E conferma un regista sensibile.
"Liberamente tratto dal romanzo omonimo di Taichi Yamada (1987)" si parte al buio. Poi alba. Solitudini, approccianti o difensive. Musica e sonoro a supporto dei grigiori. Figlio? Eh. Dissolvenza. In sintonia col protagonista...con chi non tira su famiglia, queer, gay, altrelettere libere, ancora escluse/i. Chi più allineato, chi non si ricorda di respirare. "Oh no, quale genitore vorrebbe questo per il proprio figlio?". Si passa alla grana grossa. Cinema relegato, vittimista? Sarebbe comprensibile...Coming-out per dare un nome "alla cosa"; non cambia lo status di "strano". Cliché, tutti frutti, come un cattivo tiratore e "a quell'età si è strafatti". Insomma, con Elena siamo smarriti (rincitrulliti) sino a chiederci chi fosse al casting, da non trovare due genitori più credibili?...ma è un trucco dello scrittore per "Uscire nel mondo" (l'abbraccio...no). Ah, Salif Keita Keta...Tirare in ballo Thoreau (Walden). Chiarito l'arcano, il respiro a sorpresa si rivela più corto. Va bene, una storia di lutto e sessualità respinte. Ma perché, ma per come. Infatti si va nella psycho-fiction. Riuscito a metà. Compensa, però, la fotografia perfetta di Jamie D. Ramsay.
(depa)
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