Ormai Elena trascina me nelle sale. Ieri sera, per l'altra pellicola papabile nei cinema di queste settimane. Diretto dal tedesco di origini turche, classe 1984, İlker Çatak, "La sala professori" è un buon film che, nel raffigurare il marasma d'incapacità del sistema pedagogico, alla campanella finale non chiude la lezione. Denuncia, come cuginetta Guerra, porta solo merda (l. odio (malriposto)). Sull'istigazione alle stesse si regge il nostro sistema autoritario e gerarchico.
"Sì, capisco", dice una voce fuori campo nei titoli di testa. Ma la protagonista, energica e ottimista professoressa delle scuole medie, non ne verrà a capo. Imparerà un'altra lezione Capitale. Infamare qualcuno, sbirrarsela, addolcito da retoriche di giustizia e responsabilità ("Pronto, c'è un Covid che corre in Corso Italia!"). I ragazzini di oggi, i manipolatori di domani. Illusori "Buondì a tutti!" dinanzi allo smiling mobbing. La pellicola saltella su indizi e pregiudizi. Qualsiasi riflessione in sala professori, come in redazione studentesca, risulta gonfia di vuoto. Le parole di Prof. non fanno che peggiorare ("regole!"). Mentono tutti, colleghi ("Se hai bisogno, io ci sono") e allievi ("Non ce l'avevamo con lei"), l'ipocrisia come schermo (social). La perseveranza di Rubick, che ovviamente reggerà sino all'ultimo (togliendo 1 voto, prima di recuperarne mezzo, col nostro Oscar sugli scudi!), manca il perno della pellicola: un algoritmo non rende nessuno libero. Ai tempi dei merdoni (escalation quando elevarsi è impossibile), niente "Buondì".
Elegantemente insoluto, resta un film ben girato sull'immaturità di qualunque "educatore". Crudo contro gli idealismi d'accatto, se non si fosse capito.
(depa)
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