Radici spente

Al terzo giorno di TriesteFF, la serata è incominciata con la visione di "Stepne" della regista esordiente ucraina, classe 1982, Maryna Vroda. Pellicola rigorosissima, dal taglio documentaristico, su tempo e sradicamento, anche per secolari inamovibili. Spenti sulle proprie radici.
La curatrice annuncia che sarà "differente dai film ucraini in rassegna l'anno scorso" (perché Anatoliy non combatte? Perché noi combattiamo?). Non è un film di guerra. (Vroda la regista, combatte sempre. In che senso?). L'anziano Anatolyi deve ritornare al piccolo villaggio, dove affronterà la vecchiaia. Tra tabelle meteorologiche e antiche preghiere, mentre Ivan Ilich, suo amico, raccoglie gli oggetti di valore dalle case abbandonate dagli amici compaesani. Tradizioni intaccate da guerre e rivoluzioni. Per il compagno il progresso è nemico delle tradizioni. Nei remoti villaggi, i vecchi attendono l'ora (Aleks dice che i confini sono sicuri). Scrittura compassata, coi tempi cui il TriesteFF ci ha abituato. Il funerale è l'occasione per i ricordi di gruppo comunitari, con Stepan Il Nero che, nel 1947, salvò qualcuno dalla prigione. Vodka! (Leska è a pezzi). Un violino rotto per le foto ingiallite, una  pistola. Incredibile: Toljia è geloso! Brusii olmiani, scambi desetiani, dalla "terra desolata", dove "la nebbia copre tutto". Requiem d'un mondo trapassato. Scrittura raffinata, fotografia maniacale, per un'atmosfera palpabile che, uscendo dalla sala, riconosciamo già come vincitrice del Festival. Unico difetto, nella sua perfezione, risulta insistente: voto 7 e 1/2.
(depa)

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