Meticcio W

Altro buon western italo-spagnolo. Sì, anche "I tre del Colorado", del 1965, si inserisce tra le piccole grandi co-produzioni che scrissero così tanti capitoli del genere imported più tipico. Regista di La Coruña, Amando de Ossorio (1918-2001, prima), si presenta da abile mestierante, tra colleghi uguali.

Trama nera

Vedere uno Chabrol ti ricorda di non dimenticare Chabrol. Con pochi autori mi capita di venir rapito come con Claude, concentrato nella sua arte mentre, con un buffetto, mi dice tontolone guarda qui. Prendi "Ucciderò un uomo" (t.o. "Que la bête meure"), del 1969, una scia d'asfalto bagnato e dolore coagulato, ripresa come goccia sulla pagina d'un diario. Vendetta; e tutto ciò che la circonda.

Traffici di cuore

Robert Wise entra al Cinerofum. Il regista che fece gavetta per, poi, ottenere residenza onoraria a Hollywood (quattro 'scar), nel 1948, mostrò proprio in un western, toh!, la sua già pronta e raffinata arte. Paesaggi, fotografia, intreccio, tutto tenuto al passo, elegante e ritmato. "Sangue sulla luna" (ovvero "Vento di terre selvagge"), "come dicono gli indiani, aria di tempesta", gli onesti soccombono, se qualcuno non ci ripensa.

Topolini nel paiolo

Quant'era che non vedevo Joseph Losey? Una decade, o quasi. Concedendo al cesarismo di mediaset, alla prima opportunità, offerta dal ciclo "Europa Europa" di "Iris", non mi distraggo. "Cerimonia segreta", pellicola che il regista USA rinnegato-inglese d'adozione diresse nel 1968, ringrazia da sé ogni costanza. ­La curva inconfondibile del regista, un giro sulla Follia, due spari ad Avidità & Sadismo, non siamo mai usciti dal Circo Umano.

Movimento I°

Il viaggio tra le "immagini intense e impressionanti" di Ken Russell, fa tappa obbligata presso "La perdizione" (t.o. "Mahler"). Del 1974, è uno degli squassanti scorci del burrascoso autore inglese sulle musicali allucinatorie vette. Sul crinale sanità-santità; già morto, già dio. Si può continuare, a suonare.

Uhrodia

Alla fine Simone ce l'ha fatta (cioè, noi). "Lawrence d'Arabia", "il film più bello della storia", del 1962, ha solcato la desertica, gelida nottegiorno, sala Valéry. Colossal miliare, insegue l'ingenua complessità del protagonista, personaggio tragico (e comico) uscito dai (e rimasto nei) romanzi. Lawrence, "metà beduino, metà dio", permise a David Lean di sfoderare il suo cesellato stile e di far mambassa d'Oscar (sette). Splendido colonialismo, coi selvaggi che non vogliono imparare.

La lotta per la valle

Una consolidata squadra di capaci artigiani italo-spagnoli permette di sfoderare film di maniera compatti e avvincenti. Come "L'uomo della valle maledetta", del 1964, melodramma di frontiera, amore apache impossibile, in una landa infestata di razzismo. Diretto da Omar Hopkins, Primo Zeglio sotto sotto.

Castelli Vuoti

Una porta minuscola può introdurre ad un regno infinito. Sono entrato e ,dinanzi, s'è parato Michelangelo Antonioni. Vuole che veda "Il mistero di Oberwald", del 1980, letterario, sempre inesorabilmente puntato sulla vacuità, qui regale, e sull'insoddisfazione che sempre coglie chi vegeta di corone e castelli. Qualcosa di imperfetto, ma Karl Kraus ne aforismò, quindi ho goduto dell'Antonioni sperimentale, alle prese con dissolvenze, luci e filtri da tragico kammerspiel di corte.

Occhio ai grandi

Sono contento di aver conosciuto Burt Kennedy (1922-2001). Ché "Il grande giorno di Jim Flagg" (t.o. "The Good Guys and the Bad Guys"), del 1969, mi ha permesso, non soltanto, di rincontrare Robert Mitchum, garanzia statuaria; ma, anche, di stare con un buon western brioso, ben girato, altroché, dal regista statunitense.

Vuoto in Borsa

Batti, puoi dire quello che vuoi, quando passi dalla "Valéry", la qualità si vede. Ne dico solo una, l'ultima, di ieri sera: "L'eclisse" di Michelangelo Antonioni, 1962. Il terzo capitolo sull'incomunicabilità è forse il più gelido: freddezza alla radice, resta ciò che resta, nell'animo un appuntamento tradito ogni giorno.

Testamentum venenum

Va bene così. Duccio Tessari alla regia della scrittura di Ennio Flaiano, chi lo sa?, promisero di più. Resta "Vivi o preferibilmente morti", un western del 1969, manesco e caciarone, dove il regista e sceneggiatore genovese sfoderò tutto il suo Giuliano Gemma. Una fraterna amicizia che travalica le eredità, da pomeriggio senza impegni.

Cristo d'argento e occhi bassi

Avanti con Ken Russell. A scoprir di più del "coraggioso e visionario regista inglese", passando da una delle sue opere più celebri. "I diavoli", del 1971, ribadì un autore ambizioso e dissacrante, esibito in una roboante e sacrosanta, iperterrena bestemmia.

Boschi fucilati

C'è ancora un bel po' di Trieste Film Festival. Attraversiamo veloci "Al crepuscolo" (t.o. "Sutemose"), pellicola lituana del 2020 rigorosa e dolorosa, come altre dieci già viste, sulle Resistenze di quella terra fucilata. Il regista nazionale Šarūnas Bartas, classe 1964, dipinge un cupo grigioverde, il senso d'oppressione che non ti molla un secondo. Piacevole.

La mossa del Peepshow

Leggete Palma d'Oro e William Wyler (1902-1981), il regista tedesco naturalizzato e osannato (3 Oscar). Che fate? Lo guardate. Ma il "bollino verde" di un western quacchero copre tutto. C'è Mary Poppins nel "Far West", se le fa dare senza reagire e sposerà proprio tutti! "La legge del signore" (1956, altro giro: "L'uomo senza fucile"), menoso quanto un sermone, mi fa lo stesso effetto: perché sono qui?

I Draghi del Cinema

Pazzesco. Quattro firme da urlo del pantheon registico, tutte italiane, nel 1968 si unirono a prosare gli amori del popolo. Il risultato è "Boccaccio '70", gioiello luccicante che, tra le scene e scritture perfette, permette di cogliere ed esaltare le peculiarità artistiche dei quattro, ugualmente unici, autori: Mario Monicelli, Federico Fellini, Luchino Visconti e Vittorio De Sica. L'episodio del Festival di Cannes rileva, al negativo, quindi positivamente, lo strano fastidio della critica ufficiale per Monicelli, sicuramente la voce più graffiante: nessuna sorpresa.

Prima Kim

A cinque mesi dalla sua Morte, nemmanco sessantenne, il Cinerofum riabbraccia Kim Ki-Duk. In sala "Valéry", abbiamo passato la serata col film d'esordio del regista sudcoreano (come gli è piaciuta sta cosa!); ridendo, piangendo, tremando con la firma che ci galvanizzò. E' stato stupendo trovare nel suo primo, lesto ad esplodere, tutto il resto. "Coccodrillo", 1996.
Quanti hanno cominciato così? 

Repressione ossessione

Rispetto per Franco Giraldi. Non può essere sempre e solo farina (d'alta cucina) del solito grandioso Ugo Tognazzi, per di più a braccetto con una Monica Vitti stupefacente; non è che la scrittura di Tonino Guerra e Ruggero Maccari, sulle note di Luis Bacalov, d'emblée, t'assicurano il risultato. Ci vuole un regista sensibile quanto ironico, attento alle parole come alle rughe, alle cosce come alla prigionia. "La supertestimone", 1971.

Amare Stoccolma

Parrebbe improprio scribacchiare di "Primo amore", pellicola italiana del 2004, tra le recenti ed eccellenti visioni di cinema d'essai. Ma, convergendo con Simone, cui dobbiamo anche questa valida proposta, Matteo Garrone è uno dei pochi autori, contemporanei e nostrani, a mostrare una filmografia attenta; come questo film, infastidito dai riflettori, avaro di discorsi, silenzioso di rabbia come i nostri cuori. Mica facile.

Čajkovskij Rush

Sarà
. Ma il Cinerofum divora cinema più di prima. Sala comoda, la "Valéry": pure un esagitato come Ken Russell (1927-2011) sta fermo buono. Non sullo schermo, dove "L'altra faccia dell'amore" (? t.o. "The music lovers", 1970) impazza senza scomporsi. La disinvoltura nell'energia del regista inglese travolge ancor più di questa: Čajkovskij è libero di suonare, strasuonare, gridare, morire. 

Clerinette!

Il Cinerofum cola sui grandi autori internazionali (e il vice si versa). Autocelebrazione conscia della propria piccolezza, dura poco; finisce all'angolo l'uomo solo in crisi! Preziosa questa "comédia lusitana", coi "Ricordi della casa gialla" (1989), frammenti d'esi-stanza spoglia, riaffrescata con singolare intensità dal regista portoghese João (1939-2003). Firma suave.

Difetti cari

In sala Valéry torna Anthony Mann. Torna il suo modo di western disincantato, concreto, con la meravigliosa natura a fissar l'orrido dell'uomo. "Dove la terra scotta" (ad catzum, t.o. "Man of the West"), del 1958, è il cruccio profondo di Gary Cooper sporco di sangue dall'inizio al finale alla Anthony Mann, senza bacio.

Al centro del fuocO

Al Trieste Film Festival dello scorso gennaio, in concorso l'intrigante lungometraggio "Pari", del 2020, dell'esordiente iraniano Siamak Etemadi. Produzione greca kai allos (?), accompagna lungo la ricerca di una madre, di un figlio, di sé. Della donna, dell'...uovo. Exarchia baretto da toccata e fuma. Resta l'ottima fotografia di lampioni e roghi di un esistente insopportabile.