Il Cinerofum rischia di perdersi nel Far West. L'ultima avventura, proposta da "RaiMovie", mi ha permesso di conoscere Domenico Paolella (1915-2002). Il regista foggiano, al primo incontro in sala Valéry, l'ha già cosparsa d'atmosfera a grano duro, con uno spaghetti western roboante, inquieto, infine stanco. "Execution", del 1968, ha le sembianze di un cult, ma l'intreccio mal gestito e i conseguenti attimi di smarrimento han fatto sì che il rischio di cui ho scritto fosse realissimo.
Incipit che promette faville, con una regia più che attenta, tra i dettagli e i movimenti. Il montaggio si mostra elegante. Il volto del cagliaritano Mimmo Palamara dichiara freddezza. L'inglese John Richardson (1934) è già angelico e diabolico. Tutt'attorno maschere sinistre, per un ruolo poco chiaro. Saranno spie e poliziotti, la nostra indagine andrà a ramengo. Il racconto sterza, impatta, si ex-quote per sorprendere. Ma la confusione è molta, almeno in sala Valéry. I personaggi spuntano come ratti da martellare al luna park. Due topi sono gemelli, si fa sporca e un po' mi dispiace. Quanto pathos gettato al deserto. Momenti caricati manco fossimo in chiesa, capovolgimenti insistiti che, per quanto stimolanti, alla lunga inducono a voltarsi per chiedersi dove siano gli altri. Non sia mai che la presunta, da me, debolezza, sia la forza della pellicola, confuso affresco da cui s'innalza nitida la maledizione del Dio Denaro. Fine.
(depa)
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