Kong, saluta

Non sono solo! Gli oltre ottomila chilometri che ci separano si fan minuscoli fotogrammi, se di mezzo c'è il Cinema. Il 'Rofum ringrazia Bubu, fido baciccia che, in questo viaggio senza meta, lo mette in poppa (ouh...). Basta lacrimucce, ché il film di cui scrivo di emozioni ne suscita ben poche, se non la fredda ammirazione dinanzi ai pirotecnici effetti speciali. Il "King Kong" del Peter Jackson degli anelli, remake del 2005 da duecento milioni di dollari, trattiene per quattro lunghe ore, gratia "Iris". Ma sono solo alla chiusura del sipario. Elena e Pulcy Dani, sparite in una nuvola di Z...

Tra la Compagnia e un Hobbit, il regista neozelandese classe 1961 si buttò in quest'opera ventennalmente desiderata (venti milionalmente finanziata) e, a modo suo, ambiziosa. Pochi giorni fa, mi sono imbattuto nelle buffe quanto efficaci immagini di quegli scattanti omini degli anni '30, rinvigoriti da cartapesta sgargiante, Anime e corpi tesi per l'effetto. Sul pubblico. La sfida è più ardua di quanto si creda. Jackson la raccoglie, onore a lui. Anche perché la storia è meravigliosa. Ecco, appunto...
Forse quella storia dell'immaginazione. Ma sì, quella che meno vedi, meglio è. Chissà. Tant'è, tra dinosauri e insetti giganti di tutte le geologiche, si rimpiange quel goffo magical murphy circondato da cannibali pennuti. La tensione concorde degli artigiani pionieri della Settima, persa nei bit verdeneri. Con buona pace degli Oscar, boia statuari di questo Cinema asservito. Non ci vuol molto a disaffezionarsi ai personaggi di questa pellicola, terribilmente più artefatta delle precorritrici. La troupe, la protagonista femminile, quello lì, l'altro là. Caratterizzazione fiacca, vi sfido a ricordar qualcuno dopo una settimana. Pure Kong Jr. scompare, con la sua mole dai peli a troppa definizione. Preferisco il suo burbero nonno, fascio di nervi, altro che sti gorilla palestrati.
La prima di Jackson al 'Rofum, chissà perché.
(depa)

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