In sala Valéry è tornato John Ford, tra noi è sbocciato in quarantena. "Il grande sentiero" (t.o. "Cheyenne autumn"), del 1964, è l'ultimo western del maestro del genere. Chiusura significativa. Si spezza il calumé, si riarmano gli Indiani d'America. Almeno della loro dignità, tradita dalle menzogne della razza bianca.
1878 - Territorio indiano. Si dipanano sullo schermo i luoghi tipici dell'autore statunitense. Paesaggi protagonisti come d'uopo, se l'epoca è quella delle prime fratture metaboliche tra Terra e Uomo. "Le promesse dei bianchi", quelle che "diventano preghiere degli indiani", tengono popoli in gabbia, li mettono in fuga. Da "un piccolo fatterello di cronaca", i Cheyenne profughi espatriati. E inseguiti, a morte. Il tenente Scott non ha per nulla chiaro chi sia il valoroso.
Meravigliosi cieli acquerelli, vere cadute e autentici investimenti. Grandi interpreti: oltre all'irruzione sulla scena di James Stewart, col "suo" fugace ma solido sceriffo; il ministro del pilastro della "Settima" Edward G. Robinson (1893-1973); il capitano tedesco dell'altrettale Karl Malden (1912-2009); quindi le intense figure dei messicani Dolores Del Rio (1905-1983) e Ricardo Montalbán (1920-2009).
Pellicola compassata, ma dagli squassi repentini. Pur martoriata da "Rete4", non perde in atmosfera. Suggestivi momenti musicali s'alternano a splendidi silenzi, che permettono alle grida di infanti e morenti, alle urla dei Pellirosse, ai fischi di mandriani, ai versi animali di emergere, dipingendo l'intorno. Western epico, colla lunga marcia dei Nostoi. Attualissimo, con le fake news di ogni mezzo di (dis)informazione, dove i 9 diventan 100. Finalmente, un western dove è il bianco che scalpa l'indiano. Trotto, galoppo e sontuosa carica. La tragedia in tutta la sua beltà.
(depa)
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