Fame di stelle

Ancora Alberto Sordi alla regia. In sala Valéry, questa volta c'è anche Elena a godersi il buon mestiere dell'attore e autore romano. Quinta opera, del 1973, "Polvere di stelle" s'inserisce nella migliore scuola del cinema nostrano. Delicato racconto di piccoli uomini dai grandi sogni, di un amore sincero, di una gioia scalpitante, di una tenerezza che, più di tante parole, parla di un'Italia fottuta (fame). E del doloroso inganno del tempo.

"Fida cinematografica" presenta...da un soggetto di Ruggero Maccari, poi rivisto dallo stesso Sordi e Bernardino Zapponi (1927-2000), trio romano-dentro per una epopea popolare ai tempi dell'occupazione. Una salvifica allucinazione. "Non è questione di dominio pubblico, ma di chi le racconta". Seguire questi sgangherati artisti è ripercorrere l'italietta occupata. "Non saremo compagnia di prim'ordine, ma quanto a fame...". S'affannano per "stima e onore", raccatteranno solo scherno e castagnaccio. "Ma quando hai magnato, bevuto e fumato...".
Monica Vitti perfetta, verace al bancone. Con la sua voce unica, bassa, rauca, sentita in ogni frangente. Mimo Adamoli prostrato umilissimo dinanzi alla gigantessa Osiris. Tutto procede compatto sulle note di Piero Piccioni, ora malinconiche, ora "Goia!", e attaccate a sta banana. Anche la fuga d'amore tra John e Dea, metafora più o meno velata della sbandata italiana, è ripresa con suggestiva delicatezza (le sequenze al teatro "solitario").
"Se o dovemo magnà tutto?". L'epoca dorata del cinema italiano era fucina preziosa. I risultati di un'elevata sensibilità condivisa sono evidenti. Autentica Vitti in faccia a tutti i fasci (coi marinai genovesi...). "Non siamo per nessuno, siamo per tutti". Una picarata musicale lungo lo Stivale, un ballo malinconico scatenato che diviene accorato affresco storico e sociale da mantenere. "Avere vent'anni, amar senz'affanni!" (altri tempi). Ottimo film dalla commovente coralità, felliniana sì.
(depa)

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