Nei giorni scorsi, "La7" ha dedicato un miniciclo dedicato a Barbara Bouchet (di qui alcune pellicole apparse sul 'Rofum). In programmazione "L'anatra all'arancia", del 1975, diretto dal romano Luciano Salce (1922-1989) e tratto dall'omonimo dramma franco-britannico. Tra le smargiassate di svogliati borghesi '70, un racconto disilluso sull'amore, sul matrimonio, troppo kitsch per chi non ha tempo. Liberi, via, indipendenti!, Vitti e Tognazzi! Sino al ritorno. Soli.
Commedia senza pretese, nel senso che non pretende, ma che dà, sorrisi e dubbi. Ugo Tognazzi corpo autonomo. Lo poggi sul proscenio e puoi andartene. Scanzonato dalla ruga di dolore. Battuta pronta, occhio attento. "Se vuoi prendere una sbornia, bevi vino californiano". Penso alla Vitti e a Tognazzi e vedo scintille, dall'immediatezza unica. "Aspetta una donna? No, una moglie". Scalpitante, anche perché un'irriconoscibile Bouchet, riesce comunque a portarti appresso..."Un sorriso lascivo e invitante". Coppia in crisi, l'emozione non c'è più, una musichetta delicata ("il nostro disco!", Trovajoli) accompagna le ultime amare confessioni. Reazione. Danza scatenata, da gatte impazzite, pollaio in subbuglio, nello sfarzoso maneggio due stalloni giocano all'amore. Tra le incursioni televisive, coi morti sommati, una bizzarra pièce sulle immaturità d'ogni età.
Paiono buttati nell'arena, i due mattatori nostrani, vero. Ma la naturalezza ne guadagna. Poi, come fosse un problema vedere l'inconfondibile spigliatezza dei due grandi della commedia italiana. Lui, così complesso nella sua ossessiva vivacità. Lei, travolta quanto desiderosa. Arancia che addolcisce il tempo, anatra che distrae, con un po' d'effimera e gustosa carne.
(depa)
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