Febbricciattole e sviste postmoderne han fatto sì che Ridley Scott restasse con noi. Col suo film più amato, a tenere calda, con immagini e passioni vivide, la nostra vicinanza. "Thelma & Louise" va oltre gli Ottanta (è del 1991), pronunciando le parole più scarne delle disilluse dell'epoca, suicidi sorridenti all'assalto frontale, "di fronte a tanta M".
Miss Celie
Con Elena travolti dal cinema americano di fine XX° Secolo. Dall'anno 1985, dopo i grandi i piccoli, gli schermi sono stati ripetutamente coperti da "Il colore viola". Film drammatico senza pudore, che il patriarcato non ne ha, né lo merita. Anche in questo di Steven Spielberg, come nell'ultimo Scorsese, il razzismo viene dopo, innestato in valori di dominio e prevaricazione già ampiamente istituzionalizzati. L'emancipazione di ciascuno passa dalla propria lotta.
Agli amici!
Tempo addietro, la TV mi diede una mano a stringere sulla filmografia del "nostro" Pietro Germi. Per il 'Rofum, un regista amico. Nel 1968, il genovese scrisse e diresse una commedia popolare con la consueta sensibilità, immediata. Sulla gloriosa strada dei Comencini, Scola e...Castellani: "Serafino". Senza dimenticare i sassolini.
Ricchezze di Dio
Avanti con Ridley Scott. Con Elena immersa nel suo personale corso di Storia, una particolare pellicola insisteva nello Studio Negri: "Le crociate" (t.o "Kingdom of Heaven"), del 2005, è un kolossal concepito, diretto e interpretato solennemente. Come un turbine di violenza, la storia attraversa valli e deserti, lasciandosi dietro miserabili eroismi, bieche leggende.
Esercitati
Avanti con Clint Eastwood. Tra i suoi film probabilmente dimenticati, ma inamovibili dalla filmografia del californiano, monumenti di una vena artistica mai percorsa. "La recluta", del 1990: sbirro scafato incattivito, novellino figlio d'arte da svezzare. Ecco quale scadente celluloide tocca attraversare...
Reyhaneh Jabbari VIVE
In coda per un film. Uno sguardo al monitor della programmazione può condurre, nel giro di pochi gg, alla stessa fila, per altro film. In questo caso, il "Sivori" ci ha convinti con la consueta mini-rassegna "Mondovisioni - I documentari di Internazionale" (ed. 2022-23). "Seven winters in Tehran", della tedesca classe 1981 Steffi Niederzoll, è testimonianza di denuncia sulle condizioni in cui versano le donne iraniane. Quando Stato e Tradizioni stringono il patto di morte, per gli spiriti liberi non v'è salvezza, che non sia lotta.
Strumentale
Ripartiamo da quando, con Elena e Marigrade, entrammo all'ombra dell'ultima Palma. D'Oro, assegnata al Justine Triet, normanna del 1978 al 4° lungometraggio. "Anatomia di una caduta" parla di questo, di un'indagine psicologica, ancor prima che giudiziaria, che esuli dal dogma romano di dimostrare di non aver commesso, ponendo sul letto operatorio la persona.
O uno, o l'altro
Con Marigrade a inseguire i compagni di sala più scattanti, recuperando l'ultimo film di Martin Scorsese, fieramente nella parabola anagrafica a coefficiente negativo. "Il Regista" prosegue lungo la storia di violenza con cui Civiltà e Progresso si sono imposti. Marcia di denuncia rintracciabile nella sua lunga filmografia. Spesso minoranze, qui cortocircuitate dall'Oro Nero dei loro oppressori, o dal ragionamento bianco, che prende piede (e terreni). Forma della mente che non le lascerà scampo: "Killer of the flower moon".
Alex Bella Tenacia
Tre giorni fa, altro martedì di "Post modern", nel cinema americano degli anni '80 (del XX° secolo). Con Elena al "Sivori" per capire quanto provocatorio fosse stato il "capolavoro" pronunciato dal curatore apropos "Flashdance". Pellicola cult del 1983, patinata come i primi videoclip, se non un'opera d'arte, s'è dimostrata solida e coinvolgente, grazie alla scrittura, nonostante gli scrosci d'acqua (e sudore) su cosce scapole e altri contorni, più asciutta e attenta di quanto appaia. Entri nel 'Rofum il regista e produttore inglese, classe 1941, Andrew Lyne, al cui smaccato mestiere non si può rimproverare di essere solo colonna sonora (anche se mitica).
Guaio vero
Con un ruolino di marcia particolare, avanziamo lungo il Cinema tutto, compreso quello italiano, ritrovandoci accampati nel 2001. Anno in cui Ermanno Olmi pose al servizio della storia il suo cinema realista e popolare, dall'atmosfera di autentiche nebbie e cupe polveri. Da sparo, quando il soldato incontrò cannoni e nazioni. "Il mestiere delle armi".
Svolta per piacere
Da un'email del Prof, la segnalazione che il "DIRAAS" dell'Università di Genova ha in programma il ciclo "Post Modern" dedicato al "Cinema Americano Anni Ottanta". Con Elena siamo già lì, in coda al "Sivori", perché la visione si prefigura a tutti gli effetti lezione del corso di "Analisi del film": con "Vestito per uccidere", del 1980, Brian De Palma insegnò a girare, col cipiglio suadente e dispettoso di un autentico discepolo di Sir Suspense, "Hitch".
Quartiere sparito
Tra i "Da non perdere" che la nostra "Bibbia" elenca di Barry Levinson non compare il film "Avalon", del 1990. Eppure il titolo è esemplare della linea artistica del regista del Maryland. Temi semi-autobiografici, spesso ambientati nella nativa Baltimora, drammi intimistici con attenzione all'effetto rigoroso delle immagini. Ottima pellicola.
Valori in cassaforte
Terza serata che abbiamo trascorso con Joel Schumacher. Il regista newyorkese ribadisce un suo vizietto, quello di approntare pellicole, nonostante o proprio a causa di soggetto e cast sommari e squilibrati, cestinate poi all'home video: una foga che non rende. "Trespass", del 2011, il testamento che Schumacher ci ha lasciato: col mestiere si può puntare al salario minimissimo.
Il coraggio della pistola
A due mesi dalla scomparsa di Giuliano Montaldo, il Cinerofum ha tributato una serata al regista genovese quasi sempre "impegnato". Attenzione al sociale ed alle sue derive, nel 1979 sondò gli effetti psicomagnetici delle armi. "Il giocattolo" non è tale, ma può dare alla testa come le prime (e ultime) esperienze.
Lili dutch
Grazie al ciclo "Il lunedì è sempre un dramma" presentato dal canale "Cielo", l'occasione per approfondire la multiforme filmografia di Paul Verhoeven. Successone in patria nel 2006, colla resistenza antinazista olandese ripercorsa in chiave rosa, "Black book" è emblematico della cifra da moitié auteur del regista di Amsterdam. Hollywood lascia solchi indelebili.
Worst Glam
Mai seguire consigli sputati dopo rossesi e ormeaschi. D'altro canto Ridley Scott ha trafitto parecchi cuori inconsapevoli e torna ciclicamente con titoli roboanti, imperiali, nelle sale. Vale la pena ricercare donde nasca tanta fedeltà. Ma non cominciate da "Black rain" (s.i. "Pioggia sporca", 1989), action movie senza passione, ché rischiereste di cestinare senza indugio la cartella del regista inglese. Il peggio del cinema americano di quegli anni grezzi e trastullanti.
Venditrici di cavallette
Con qualche salto lungo il, comunque ricco, percorso del cinema Sud Coreano, grazie a "Foglio" con Elena ci siamo imbattuti in So Yong Kim, autrice indipendente di Busan, classe 1968, recentemente dedita alle più remunerative serie TV. Al secondo lungometraggio, nel 2008, girò un'intensa pellicola sulla sfera infantile. Affettuosa ode all'età delle mute osservazioni, dei primi tentativi. Angoscianti i balzelli, su di una "Montagna senza alberi".
Guerra seria
Inerpicato sulla filmografia di Spike Lee, più sfiancante del previsto, giungo causa TV alla miliare del 2007, quando "Miracolo a Sant'Anna" condusse il regista newyorkese, con tutta la sua troupe e idea di cinema, in terra lucchese. Spettacolare melò bellico, con lo sfondo dell'eccidio nazista di Stazzema (12 agosto 1944), dove gli afroamericani mandati a morire trovarono i modi per raccontarsela.
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